PHOTOGRAPH 51 al festival delle Colline
Giugno 18, 2007 in Spettacoli da Roberto Canavesi
Che cosa hanno in comune la scienza e il teatro? In apparenza nulla: a bene vedere, forse, l’istinto verso una ricerca che, se nel campo scientifico è pulsione verso una verità il più possibile assoluta ed incontrovertibile, nel mondo dell’arte diventa sinonimo di sperimentazione, interscambiabilità tra linguaggi e registri espressivi diversi.
Da questo assioma sembra partire Photograph 51, lo spettacolo del Teatro Baretti andato in scena al Palazzo degli Istituti Anatomici di Torino per il Festival delle Colline Torinesi: il testo di Elena Pugliese offre non pochi spunti di riflessione sul significato dalla ricerca scientifica e lo fa con una struttura che tanto ricorda le “convention” cui partecipano medici ed operatori del settore, per l’occasione il pubblico con tanto di camici bianchi indossati prima di accomodarsi tra i banchi dell’Aula Magna. Oggetto della narrazione è il dettagliato resoconto sulla scoperta che ha cambiato gli orizzonti degli studi biologici, la “fotografia 51” come simbolo della rappresentazione elicoidale di quel DNA nuova frontiera delle indagini in materia genetica.
Nella ricostruzione della Pugliese, un testo che all’inizio fatica a mettersi teatralmente in moto per poi guadagnare in ritmo e scorrevolezza, si indaga tanto l’aspetto scientifico quanto, soprattutto, il dramma umano di una Rosalind Franklin vera artefice della scoperta al termine di un sofferto e tormentato percorso di ricerca che la vedrà esclusa dal riconoscimento ufficiale del Nobel, destinato ai suoi più illustri superiori accademici. Un furto in vera regola che il regista Davide Livermore sceglie di far raccontare dalla custode, una bravissima Anna Coppola, trait d’union narrativo tra un “ieri” pieno di ricordi ed un “oggi” che del passato soffre la presenza di alcuni ingombranti fantasmi, in primis quello della stessa Franklin. Quest’ultima, infatti, rivive nello sdoppiamento di cui ne danno vita le figure gemelle delle brave Olga Rossi e Mariangela Granelli, doppie facce di una stessa medaglia dove si legge una costante tensione verso la verità ed, al tempo stesso, il sofferto senso di consapevolezza di una precarietà del proprio ruolo che sembra rappresentare il principale cruccio, allora come oggi, dell’uomo moderno.
Convinti e meritati gli applausi finali
di Roberto Canavesi