Pietro d’Agostino per Traspi.net
Novembre 8, 2001 in Ricette da Momy
Torpedo è un nome che evoca mondi lontani nel tempo e nello spazio; vi ricordate la mitica macchina dal fascino seducente o i bizzarri animali acquatici a forma di siluro o i nomi di team sportivi avvolti nella segretezza dell’ex impero sovietico?
A Torino, Torpedo non è nulla di misterioso, anzi, quanto di più radioso ci possa essere: un ristorante pregiato, sinonimo di ottima cucina, di piatti prelibati da assaporare in un’atmosfera raffinata, accogliente e riservata, disseminata di prelibatezze gastronomiche e pregiati nettari enologici. Già, perché Torpedo è il ristorante di uno degli hotel più in vista nella nostra città, l’elegante Le Méridien, tappa obbligata per il turismo, soprattutto congressuale, che transita dal centro polifunzionale del Lingotto.
Incappare nella trappola di credere che il ristorante di un grand’hotel sia riservato solo gli ospiti dell’albergo o ad eventi particolari ivi organizzati è, in generale, errore comune, ma grave. Significa rinunciare a serate piacevoli, allietate, al più, da un tocco internazionale sempre gradito.
Torpedo è il prototipo di lusso di queste entità autonome, che tra i loro compiti istituzionali hanno il servizio ai clienti dell’hotel, ma che possono accogliere in qualsiasi occasione (la prenotazione, ovviamente, è sempre gradita) chiunque ami porzioni raffinate e squisite, esclusivamente d’alta scuola. Al Torpedo, assaggerete sfiziosi monopiatti a pranzo, con specialità di terra, mare e giardino, e un menù ricchissimo e variegato la sera, con portate che spaziano liberamente tra le regioni italiane, soffermandosi delicatamente, come una farfalla fa su un fiore, in Piemonte, Sicilia e Sardegna.
L’autore, nonché padrone incontrastato della cucina? Pietro D’Agostino di Taormina, cuoco di valore internazionale e di prestigio consolidato, nonostante la sua ancora giovane età (29 anni). Chef innovativo e conservatore al tempo stesso, artista della tavola e dei colori, manager della ristorazione d’alto rango: una promessa diventata realtà. L’abbiamo incontrato, al Torpedo ovviamente, in occasione della Festa nazionale del cuoco.
Quando e perché è nata la tua passione per la cucina?
Credo che, come in tutte le professioni, il bagaglio familiare sia molto importante. La passione di mia mamma, l’esperienza della nonna e l’abilità dei miei zii, chef del ristorante San Domenico di Taormina, sono state fatali.
Mi ricordo in particolare un episodio di quand’ero piccolo. Era la notte di Natale e mi sono svegliato alle quattro e mezzo del mattino; ho visto una luce accesa, sono andato in cucina e ho trovato mia nonna che stava impastando. Forse proprio in quel momento ho deciso di fare il cuoco. A 12 anni, finite le scuole medie, mi sono iscritto all’alberghiero. Terminate le superiori ho seguito diversi corsi di cucina, tra i quali l’Etoile di Venezia.
Passiamo dalla teoria alla pratica: raccontaci le tue esperienze lavorative.
Ho cominciato all’Hyde Park di Londra, uno dei ristoranti più antichi della città, nonché il “regno” della regina Elisabetta, come aiuto cuoco nel ristorante italiano. Il locale è molto famoso anche per la sala da pranzo in stile ‘800, con un’enorme finestra sul parco, nella quale ogni giorno la regina va a prendere il tè. Poi sono passato, sempre nella capitale britannica, al Dorchester, l’albergo del sultano del Brunei, in qualità di responsabile del ristorante italiano. L’hotel ha sette ristoranti, tutti di altissimo livello.
Due anni dopo mi sono occupato dell’apertura dell’Eden di Roma, insieme a Enrico Der Flinger, lo chef personale di Carlo e Diana. Poi mi sono trasferito in Florida, a Orlando, per lavorare con la Walt Disney, contribuendo al varo gastronomico di due nuove navi da crociera. Ogni imbarcazione ha una capienza di 3000 persone e ha 11 ristoranti. Ho lavorato due anni come responsabile del ristorante italiano, il più “in” di tutta la nave.
Quando hai cominciato a lavorare al Torpedo del Lingotto?
E’ un anno e mezzo che sono a Torino. Il trasferimento da metropoli immense a questa città dal fascino discreto e nascosto è stato indolore: ho trovato subito buoni amici. L’unica difficoltà è la mentalità italiana nei confronti dei ristoranti annessi agli hotel: in troppi non concepiscono ancora la loro come una cucina di grande valore, purtroppo. Grazie ad iniziative mirate quest’opinione sta assumendo contorni più sfumati e siamo pienamente soddisfatti per gli apprezzamenti ricevuti.
Il tuo piatto vincente?
La tagliata di pesce spada con caponata in agrodolce: l’ho cucinata anche per l’Avvocato, che sembra averla gradita…
Per migliorarmi, comunque, faccio un continuo benchmarking nei ristoranti migliori del Piemonte, alla ricerca di qualche particolarità. Considero la cucina piemontese, come quella toscana, la madre delle cucine.
A quali ingredienti non rinunceresti mai?
Sicuramente alle erbe: amo particolarmente utilizzare basilico, timo, maggiorana, finocchietto selvatico, che faccio arrivare direttamente dalla Sicilia. Ritengo inoltre elemento indispensabile per la perfetta riuscita di un piatto l’utilizzo del corretto tipo di olio. Comunque scelgo personalmente tutte le forniture di ingredienti, con specifico riguardo alle linee di alimenti biologici.
Arte e cucina, come percepisci questo rapporto?
Sono un amante della pittura, quindi anche quando cucino penso i piatti come dei quadri: devono avere una loro armonia di forme e colori. Seguo molto le stagioni per la composizione delle mie creazioni [e il risultato è veramente spettacolare, n.d.r].
Raccontaci qualche episodio curioso.
Sicuramente la festa dei cinquant’anni del sultano del Brunei. Più di 3.000 invitati, 300 cuochi, sette squadre per preparare tutte le cucine del suo ristorante. Un impegno gravoso, ma tutto è andato per il meglio con grande soddisfazione degli ospiti e del padrone di casa, che ama particolarmente il tiramisù e la pastasciutta con i frutti di mare, cucinata piccantissima. Il sovrano, tra l’altro, possiede 52 Ferrari e ogni anno se ne regala una per il suo compleanno; immaginate l’imbarazzo degli invitati nel scegliergli un regalo originale…
Un altro episodio incredibile è successo durante una crociera: un cliente ha ordinato un chilo di caviale, ne ha mangiato un cucchiaino e poi ci ha spento il sigaro dentro…
Ilio, un cuoco che di calcio se ne intende, e non poco [è lo chef ufficiale della Juventus, n.d.r.], ti ha definito, usando un paragone calcistico, talentuoso come Pelé a 17 anni. Quando vincerai il primo mondiale, ovvero, quali sono i tuoi progetti futuri?
Ringrazio Ilio, un amico, oltre che un maestro. Il progetto più impegnativo in programma è seguire, anche se da lontano, l’apertura del ristorante di Dolce&Gabbana a Taormina. Tra qualche giorno, invece, sarò al Salon de Saveur di Parigi. Lo scorso anno è stato un successo: abbiamo cucinato in quattro giorni 400 chili di riso e più di 100 chili di salsiccia di Bra!
Mi è stato anche chiesto di ripetere la mia partecipazione all’iniziativa “Il Piemonte incontra la Sicilia” e “La Sicilia incontra Torino”.
Ringraziamo il simpaticissimo Pietro D’Agostino per l’intervista e per offrirci la possibilità di provare a cucinare una sua specialità. Pubblichiamo quindi la ricetta del tonno di coniglio all’antica maniera, uno dei piatti più appetitosi assaggiati in occasione della Festa nazionale del cuoco, una di quelle antiche ricette rivisitate in chiave moderna che tanto ama preparare.
Tonno di coniglio all’antica maniera
di Monica Mautino