Quell’antico ragazzo. Vita di Cesare Pavese
Giugno 13, 2007 in Libri da Redazione
Titolo: | Quell’antico ragazzo. Vita di Cesare Pavese |
Autore: | Lorenzo Mondo |
Casa editrice: | Rizzoli |
Prezzo: | € 17,00 |
Pagine: | 280 |
“Un antico ragazzo” rimane per il critico letterario e giornalista Lorenzo Mondo lo scrittore Cesare Pavese, di cui ha presentato venerdì 11 maggio scorso, alla Fiera del Libro di Torino, un saggio a lui dedicato, una biografia, dal titolo appunto “Quell’antico ragazzo. Cesare Pavese”.
“Questa biografia – ha spiegato il professor Giorgio Ficara, moderatore dell’incontro con il pubblico – si distingue da tutte le altre biografie di letterati, come quella di Shelley, che si limitano alla narrazione di episodi di vita. La biografia di Mondo, dedicata a un amore giovanile del giornalista, cui egli dedicò anche la sua tesi di laurea e un saggio della gioventù, non si limita al nudo dato biografico, ma comprende anche l’atto interpretativo, ermeneutico e cerca, attraverso le opere dello scrittore, di capirne la sua esistenza”.
Emerge una base interpretativa nel modo in cui Lorenzo Mondo analizza il rapporto tra Pavese e la terra di Langhe: più volte lo scrittore dichiara che “le sue Langhe non sono per lui l’ombelico del mondo”, a differenza di quanto, in quegli stessi anni, andava affermando il letterato Ezra Pound, che dichiarava che “Rapallo era per lui l’ombelico del mondo”, ponendo la sua stessa persona al centro di quell’universo.
Un altro aspetto dell’opera e della vita di Pavese che trova ampio spazio in questa biografia è rappresentato dal cosiddetto “americanismo” dello scrittore, che, secondo Mondo, fu per Pavese una particolare declinazione dell’americanismo dell’epoca. Negli anni Cinquanta, quando Mario Praz e Emilio Cecchi vedevano nell’America un elemento di secondarietà rispetto all’Europea (tanto che lo stesso Cecchi, nel suo diario americano intitolato “America amara” diceva che le torri di Mahnattan sono una brutta copia, una ripetizione delle torri di San Gimignano), Pavese, invece, vedeva nell’America una matrice originaria e un luogo mitico, contraddistinto da un livello di superiorità e di energia vitale maggiore rispetto all’Europa.
Il mito riveste un ruolo fondamentale nell’opera di questo scrittore, soprattutto nella sua opera “Dialoghi con Leucò”: è per Pavese uno strumento capace di recuperare le origini, di esprimere il proprio disagio di stare al mondo, inteso in senso junghiano.
Il mito per Pavese, secondo quanto emerge nella biografia di Mondo, è simboleggiato dagli dei dell’Olimpo che ordinano il mondo, secondo un’intuizione nomologica. Sembra quasi che lo scrittore simpatizzi con l’America, dando un’interpretazione del mito problematica e illuministica al tempo stesso, a cui non sono estranee le tesi espresse da Bloomberg, in Germania, nell’opera intitolata “Interpretazioni del mito”.
Un altro aspetto attentamente analizzato da Mondo in questo volume pavesiano è rappresentato dall’arte, che per questo scrittore è un’attività “antinaturale”, come emerge dalla sua lettera scritta al maestro Augusto Monti, suo professore di italiano e latino al liceo D’Azeglio di Torino. L’arte può anche ricondurre a una ricostruzione mentale di periodi della vita, come l’infanzia, ricostruzione che trova ampio spazio nel romanzo intitolato “Paesi tuoi”, dove proprio i paesi sono costruiti in maniera razionale e indiretta. Nella costruzione dell’infanzia attraverso un processo mentale di mediazione si può scorgere, secondo Mondo, l’influenza di Leopardi.
Non è estranea alla biografia di Mondo neanche l’interpretazione del dato storico nel trattare la vita di Pavese: secondo il giornalista e critico “se un critico può non aver bisogno della vita di un autore per capire l’opera, a un biografo necessita dell’opera di un autore per capirne la vita”.
Vi sono nella biografia anche riferimenti alle donne che hanno avuto importanza nella vita di Pavese, tra cui le amanti che “lo espongono alla sua misoginia”, tra cui la ben nota scrittrice Fernanda Pivano, la lievissima Costance Bowling, attrice, che cerca in lui lo strumento per entrare nella Mecca del cinema e poter recitare in film accanto a mostri sacri italiani, la giovanissima Romilda Bollati di Saint-Pierre, appartenente alla famiglia di editori di nobili origini ribattezzata dallo scrittore “Pierina”, ironizzando sulla litote.
In una lettera scritta poco tempo prima della morte proprio a Romilda Bollati, Pavese, citando i suoi libri, Pavese li definisce amaramente “cenere di una vita bruciata”, paragonandoli quasi a una scoria di una vita. A differenza di Montale, che disse di aver vissuto soltanto al 5%, qui Pavese ammette, così, di aver vissuto allo 0%.
Secondo il ritratto che emerge dalla biografia di Mondo, la letteratura per il nostro scrittore diventa, così, “compimento parziale di una vita che non si compie”; nonostante l’iniezione attivistica del maestro Augusto Monti, la letteratura rimane per lui attività malinconica, il niente di una vita che avrebbe potuto compiersi e non si è compiuta.
Molto efficace anche il ritratto da parte di Lorenzo Mondo delle diverse figure femminili che hanno affiancato Pavese: per lui queste sono “donne terribili, artefici della sua incompiutezza umana”. Pavese è formalmente l’antitesi del libertino settecentesco, che è capace di scavalcare la differenza presente tra uomo e donna. Lo scrittore amante delle Langhe non riesce a compiere questo salto, non accetta, come il libertino settecentesco, la sua incompiutezza.
La differenza tra maschile e femminile lo strega ma rappresenta per lui anche la dannazione, ciò che lo inabissa miticamente nel suo angolino di non vita, dove “la sua voce rauca un giorno tacerà per sempre, insieme alla rassicurazione mancata del femminile”.
di Mara Martellotta