Rapiti dal film
Giugno 8, 2001 in il Traspiratore da Redazione
“Rapimento e riscatto”, valido più di altri gettonati prodotti hollywoodiani
Puntualmente al cinema escono film di cui nessuno parla, ma dall’elevato valore artistico. Normalmente si tratta di produzioni europee o comunque extra hollywoodiane. Talora sono pellicole del cinema indipendente americano, che si fanno scoprire poco alla volta. Ricordo recentemente “Sesto senso” di Shamaylan o qualche anno addietro il discreto e pur sempre di nicchia “Screamers- Urla dallo spazio”. E’ assolutamente raro che a passare inosservata sia una produzione della città del cinema per eccellenza, oltretutto con il fior fiore di interpreti che si ritrova.
Come già si sa fin dal titolo, parlo di “Rapimento e riscatto”; come si sa fin dai promo televisivi e dai giornali offline, nel film compaiono Meg Ryan e la stella del momento, Russell Crowe, vincitore di una pletora di Oscar con “Il gladiatore” e super-invitato di Sanremo (poverino). Quello che non si sa è la presenza di altri attori di affermata bravura e che il prodotto non è il solito film di azione del consumistico cinema di Hollywood.
Trama. Un ingegnere che sta lavorando ad un progetto umanitario in un fittizio Stato del Sud America (può essere Colombia, Guatemala, Venezuela, Equador) viene rapito assieme ad altre decine di persone dai guerriglieri del Paese. Ai suoi rapitori il malcapitato risulta essere dipendente di una grande società petrolifera che sta costruendo un oleodotto. Interviene sulla scena una società specializzata nelle trattative con rapitori e nei pagamenti di riscatto. Sono società che operano in tutto il mondo e che vengono chiamate in causa dalle società assicuratrici di aziende e multinazionali a salvaguardia dell’incolumità dei propri dipendenti.
Andando a vedere il film lo spettatore pensa e talvolta teme di trovarsi davanti ad una pellicola tipo “Commando”, con spedizione punitiva e psicologia da “ti distraggo e intanto prendo la Magnum”. Bisogna ricredersi fin dai primi minuti. La tecnica di ripresa (un grosso plauso al misconosciuto, almeno per me, Hackford) e la scelta delle location stupisce e inizia a risarcire la spesa del biglietto. Poi compare il futuro rapito, quel Morse vestito da guardia in “Il miglio verde” al fianco di Tom Hanks e colpito a morte da Bjork in “Dancer in the dark” (unico attore hollywoodiano voluto da Larsen nel suo film europeo). Infine, a misfatto avvenuto, arriva anche il rossiccio interprete della prima serie di “New York Police Department”.
Intanto la storia prende delle strade inaspettate. La compagnia incaricata di gestire il rapimento si disimpegna, perché si scopre che la società da assistere non è coperta dal servizio. Russell Crowe, dopo un primo incontro con Meg Ryan, se ne torna a Londra. Tutto sembra sul solito schema (c’è anche la classica cognata con cui l’eroina non va d’accordo), ma, al ritorno di Crowe al capezzale dell’angosciata famiglia, tutto l’equilibrio portato da anni di sceneggiature trite e ritrite si frantuma. Sequenza piena di brivido in casa del rapito, intervento a sorpresa di amici, trasferimenti dell’ostaggio nella giungla equatoriale, tentativi di fuga e tecniche di lavoro del mediatore professionista si susseguono, sullo sfondo di un movimento di liberazione che si è snaturato negli anni e che non ha più l’appoggio popolare.
Innegabilmente alla fine del film si arriva all’azione pura; ma è un’azione ben fatta, costruita tramite due ore di sceneggiatura accurata. Ed anche la storia d’amore non è piatta e semplice; ce n’è un piccolo accenno, ma è un amore umano, un’attrazione dovuta al momento di vulnerabilità e di bisogno di consolazione. Per concludere, si ribadisce la validità della pellicola e si vuole ancora una volta enfatizzarne la fotografia, che è stata in grado di trovare dei paesaggi stupefacenti.
Come già si sa fin dal titolo, parlo di “Rapimento e riscatto”; come si sa fin dai promo televisivi e dai giornali offline, nel film compaiono Meg Ryan e la stella del momento, Russell Crowe, vincitore di una pletora di Oscar con “Il gladiatore” e super-invitato di Sanremo (poverino). Quello che non si sa è la presenza di altri attori di affermata bravura e che il prodotto non è il solito film di azione del consumistico cinema di Hollywood.
Trama. Un ingegnere che sta lavorando ad un progetto umanitario in un fittizio Stato del Sud America (può essere Colombia, Guatemala, Venezuela, Equador) viene rapito assieme ad altre decine di persone dai guerriglieri del Paese. Ai suoi rapitori il malcapitato risulta essere dipendente di una grande società petrolifera che sta costruendo un oleodotto. Interviene sulla scena una società specializzata nelle trattative con rapitori e nei pagamenti di riscatto. Sono società che operano in tutto il mondo e che vengono chiamate in causa dalle società assicuratrici di aziende e multinazionali a salvaguardia dell’incolumità dei propri dipendenti.
Andando a vedere il film lo spettatore pensa e talvolta teme di trovarsi davanti ad una pellicola tipo “Commando”, con spedizione punitiva e psicologia da “ti distraggo e intanto prendo la Magnum”. Bisogna ricredersi fin dai primi minuti. La tecnica di ripresa (un grosso plauso al misconosciuto, almeno per me, Hackford) e la scelta delle location stupisce e inizia a risarcire la spesa del biglietto. Poi compare il futuro rapito, quel Morse vestito da guardia in “Il miglio verde” al fianco di Tom Hanks e colpito a morte da Bjork in “Dancer in the dark” (unico attore hollywoodiano voluto da Larsen nel suo film europeo). Infine, a misfatto avvenuto, arriva anche il rossiccio interprete della prima serie di “New York Police Department”.
Intanto la storia prende delle strade inaspettate. La compagnia incaricata di gestire il rapimento si disimpegna, perché si scopre che la società da assistere non è coperta dal servizio. Russell Crowe, dopo un primo incontro con Meg Ryan, se ne torna a Londra. Tutto sembra sul solito schema (c’è anche la classica cognata con cui l’eroina non va d’accordo), ma, al ritorno di Crowe al capezzale dell’angosciata famiglia, tutto l’equilibrio portato da anni di sceneggiature trite e ritrite si frantuma. Sequenza piena di brivido in casa del rapito, intervento a sorpresa di amici, trasferimenti dell’ostaggio nella giungla equatoriale, tentativi di fuga e tecniche di lavoro del mediatore professionista si susseguono, sullo sfondo di un movimento di liberazione che si è snaturato negli anni e che non ha più l’appoggio popolare.
Innegabilmente alla fine del film si arriva all’azione pura; ma è un’azione ben fatta, costruita tramite due ore di sceneggiatura accurata. Ed anche la storia d’amore non è piatta e semplice; ce n’è un piccolo accenno, ma è un amore umano, un’attrazione dovuta al momento di vulnerabilità e di bisogno di consolazione. Per concludere, si ribadisce la validità della pellicola e si vuole ancora una volta enfatizzarne la fotografia, che è stata in grado di trovare dei paesaggi stupefacenti.
di Diego DID Cirio