Recensendo Tristano e Isotta.
Aprile 14, 2007 in Spettacoli da Stefano Mola
Di solito, quando faccio il resoconto di uno spettacolo del Regio, parlo dell’esecuzione alla fine. Sono prima di tutto affascinato dal gesto che accade dal vivo, dalle scelte che sono state fatte per la regia e i costumi, dalle suggestioni che l’allestimento eventualmente riesce ad aggiungere partendo da cose note. Le vicende dell’opera sono nella quasi totalità dei casi già raccontate, conosciute. La sfida, ogni volta, è capire quale aspetto delle storie far maggiormente risuonare davanti ai nostri occhi.
La cosa che più mi ha colpito nell’edizione di Tristano e Isotta in scena al Regio fino al 24 Aprile è l’eccellente qualità dell’esecuzione. Prima di tutto, per la direzione di Stefan Anton Reck. Una sensibilità estrema nel dosare i volumi, nel far passare dai vuoti quasi eterei, spettrali dei pianissimi, fino al vigore drammatico dei pieni. Una sensazione di fluidità, di altissima adesione alle note wagneriane (ricordiamo banalmente come la durata dello spettacolo sfiora le cinque ore, ed è quindi una impresa di concentrazione notevole). La musica non sembrava mai scontata, ma sempre assolutamente sentita, vissuta, respirata.
Il cast vocale mi è parso d’un livello e d’una omogeneità qualitativa straordinaria, tra i migliori visti sul palco negli ultimi anni. Prima di tutto, Eva Johansson ha saputo dare vita a tutte le sfumature di Isotta. Chi è Isotta? Una donna cui hanno ucciso il promesso sposo, che si innamora dell’uccisore, il quale a sua volta la accompagna non all’altare ma verso un matrimonio riparatore con uno sconosciuto. Comprensibile che sia un po’ nervosa e animata da una certa rabbia. Ma al tempo stesso, pervasa da una passione incontenibile. Tutto questo miscuglio esplosivo di sentimenti ci è restituito con un forza e una verità eccezionali. La potenza della Johansson è senza sbavature anche nei passaggi più impervi, così come la sua capacità di scendere nei toni bassi e nel fraseggio oscuro.
Le è degno compagno il Tristano di John Treleaven. Tristano vive per tutto il primo atto in una terra di mezzo, vero personaggio freudiano, sospeso tra il geometrico Super-Io (la fedeltà al re) e l’informe, ribollente ES (l’amore per Isotta). Treleaven ha prima di tutto un timbro bellissimo e una pienezza vocale convincente. Riesce a rendere questa incertezza, questo camminare di Tristano sul baratro, così come il deragliamento della passione nel secondo e il dolore frammisto a speranza del terzo.
Come abbiamo detto, anche il resto del cast è dello stesso livello. Lioba Braun (Brangäne) ci ha davvero impressionato per la bellezza della voce e per il controllo, così come Albert Dohmen (Kurwenal). Kurt Rydl (il re Marke) ha una potenza e una gravità straordinarie. L’unica critica che si può muovere ai protagonisti è una certa rigidità e meccanicità nei movimenti in scena, che nuoce un po’ all’omogeneità drammatica. Ma la qualità musicale è tale da farla passare in secondo piano.
Infine, veniamo all’allestimento. Hockney ha scelto per le scene forme arrotondate e un po’ fiabesche, con il pregio però di creare sempre una sensazione di profondità e respiro sul palco (tranne che nell’ultimo atto, dove non è che si possa fare molto, visto che siamo su un’isola deserta). La soluzione migliore ci è parsa quella del secondo atto: l’evocazione della foresta, le mura del castello e quello sfumare delle luci nel buio in fondo. Notevole.
Come post scriptum, ci concediamo qualche irriverenza per il vecchio Richard. Ad essere sinceri, non possiamo definirci dei wagneriani convinti (ci piace citare Woody Allen: Quando ascolto troppo Wagner mi viene voglia di invadere la Polonia). La musica del Tristano, come scritto in sede di presentazione, è comunque notevolissima e lo spettacolo del Regio, come ampiamente ribadito, le rende onore. A voler essere cattivi, Wagner avrebbe avuto bisogno di un editor. Da un punto di vista narrativo, non succede quasi nulla (è già avvenuto tutto prima che si alzi il sipario), e il testo spesso ha delle immagini ingombranti e ridondanti. Una certa asciugatura non avrebbe guastato (e ora spero che i wagneriani convinti non vogliano invadere me).
di Stefano Mola