Ronzii di vita | Sudate Carte Racconti I edizione
Gennaio 20, 2003 in Sudate Carte da Redazione
Lontano si sentiva il suono del tuono…
Un bambino ascoltava avvolto nelle lenzuola, stupito di ogni parola; seduta sul suo lettino la mamma leggeva il solito racconto, stupita di ogni suo silenzio.
«Ieri ho ronzato con una mosca…
Stava esplorando un giardino verde, così verde da confondere con esso lo smeraldo al dito di quella ragazza appollaiata al sole. E scese di quota per assaggiare il suo sapore. Creò vortici d’aria nell’attesa di poggiarsi su di lei. Lottò contro la vergogna di un rifiuto, pensò alla possibilità d’essere scacciata via, sentì il vento spingerla lontano: volava…
Con il mio bagaglio colmo di certezze me ne stavo a guardare su una corteccia secca. Rilassavo le mie stanche sei zampine disteso su di essa. Non ero all’ombra della luna ma sembravo un gufo: serio, immobile, eremita. Aprendo il mio sguardo al cielo incrociai quel puntino nero con le ali che volava indeciso e preoccupato. Spinto dalla voglia di sciogliere i suoi nodi mentali ronzai per attirarlo a me. Solo io potevo aiutarlo: volando…
Costretta dal mio ipnotizzante ronzio la mosca cambiò rotta. Planò sulla corteccia secca davanti a me strofinandosi la capoccia nervosamente. Il suo volto era un sorriso triste, era una lacrima felice.
Fissandola dritto negli occhi ronzai:
“Ciao amico, come ti chiami?”
Al suono della mia voce le sue ali si schiusero impaurite e rispose:
“Non ho nome, non ho mai avuto un nome, eppure sono sempre riuscito ad andare avanti”
“Che strano, senza un nome. Io, invece, mi chiamo Riccardo, vivo bene e aiuto chi come te è in difficoltà. Ti ho visto in preda alla paura girare come una trottola intorno a quella donna così bella. So aiutarti, so come si fa, so perché hai paura di dirle che l’ami…”
“Avanti allora, Riccardo, sputa la soluzione ai miei problemi”
“Tu dovresti fare… …e poi cercare di… …dopo che avrai fatto questo dovrai… …ed infine devi… …così la vita ti sorriderà, amico!”
“Grazie Riccardo per i tuoi saggi consigli ma io so solo volare”
Ago e filo cucirono la mia bocca, il silenzio mi appiattì come se un branco di cinghiali imbufaliti mi fosse passato sopra. Le parole di quel puntino nero con le ali e per giunta senza nome mi sconvolsero. Non reagivo, rimasi ghiaccio di fronte al calore delle sue emozioni.
La mosca vibrò le sue ali e spiccò di nuovo in volo. Andò verso la bellissima ragazza e osservò ogni suo movimento. Amava i suoi capelli, adorava il suo corpo, provava un piacere imparagonabile immaginandola sua donna: volando…
Io ero ancora pensieroso: non capivo la sua felicità, non credevo potesse esistere la gioia di non potere avere le cose. Ero bloccato, ero gelato, ero straordinariamente stupito. Senza forze scivolai giù dalla corteccia. Forse uno sbuffo d’aria, forse un fiato di vento provocato dal girare della mosca. Ecco cosa fu delle mie antiche certezze:
«Chi sono? Come mi chiamo? Cosa è giusto? Cosa so? A chi devo insegnare? »
Crollò un albero secolare, precipitò un masso millenario, si disintegrò una stella. Si spense la mia ragione e precipitai nel vuoto delle mie insicurezze. L’amore della mosca senza nome per la vita mi uccise; poco alla volta, fino a notte fonda. Impaurito, infreddolito, imbarazzato; fuggii, volai via…
Vedevo fantasmi nel nero della notte, continuavo a voltarmi come se ci fosse qualcuno che mi inseguisse. Tremavo dalla vergogna di aver sbagliato tutto.
Sentivo il mio corpo completamente ricoperto di sudore. Ma non mi sentivo stanco. Pensai che fossero lacrime. Non avevo mai pianto in vita mia. Fu la prima volta e mi piacque.
Nel mio folle fuggire seguivo una scia. L’odore bagnato del sudore. Lo stesso odore che io stesso emanavo. Così seguii quel percorso; era come se seguissi la mia stessa strada. Qualcuno stava piangendo come me.
Il mio volo si arrestò improvvisamente: ingannato dalle salive appiccicose della tela di un ragno. Intesi subito ch’era la fine. Ma lo spavento si mischiò alla sorpresa quando vidi la mosca senza nome di fianco a me. Anche il puntino nero senza nome fu ingannato dalla trappola del mostro. Era proprio lui che stavo seguendo.
Il ragno si avvicinava lento e goloso, leccandosi le labbra dalla voglia di mangiarci. La mosca con le ali oramai distrutte, mi riconobbe. Raccolse le sue ultime forze e mi ronzò :
“Io mi chiamo Libero”
E così lo vidi morire: sorrideva, libero, volava, sudava come un eroe…
Io rimasi incatenato, avvolto da me stesso, strangolato dalle regole, divorato da un ragno, schiavo senza ali, sudato come un verme…
Ed all’ombra della luna un gufo osservò la scena. Serio, immobile, eremita.»
Come il finale di un film già visto il bambino già dormiva. Così la mamma chiuse il libro e si avvicinò per rimboccargli le lenzuola colorate. Lo baciò teneramente e si alzò dal lettino.
Ma prima di porre fine alla giornata lo guardò. Era affascinata ed allo stesso tempo intimorita: si tormentava sul suo futuro, pensava di non essere in grado di accudirlo; poi in un attimo di misticità sussurrò lieve come in una preghiera:
«Ho paura, amore mio. Ho paura che il mio sudore non basti. Ho paura che la libertà di volare ti porti via. Ti dimenticherai di me? »
E lontano si sentì il tuono del suo no…
Dedicato a Fulvio
di Riccardo De Paoli