Scrittori e bruchi
Febbraio 28, 2001 in Racconti da Stefano Mola
Bruco, o baco, nome comune della larva dei lepidotteri. I b. hanno forma allungata, quasi cilindrica, colori vari, spesso assai vivaci, tegumenti molli, apparato boccale masticatore, antenne brevi, arti toracici di modeste dimensioni, zampe addominali in numero vario e talora assenti. Possono essere glabri, oppure coperti di pelo più o meno folto. Molte specie sono provviste di ghiandole labiali trasformate che secernono la seta con la quale, al momento di divenire crisalidi, i b. tessono un bozzolo di foggia e consistenza varia nel quale si rinchiudono. Quasi tutti i b. sono fitofagi ed alcuni sono assai dannosi per l’agricoltura (Enciclopedia scientifica tecnica Garzanti).
A me i bruchi non piacciono (è anche vero che non ho un buon rapporto con la fauna in generale). Però questa voce enciclopedica ha delle potenzialità metaforiche notevoli. Provate a pensare allo scrittore come un bruco. Il bozzolo diventa il suo naturale ritirarsi dal mondo nel solitario atto creativo, e il filo di seta è il filo invisibile che unisce inesorabilmente le parole nel racconto.
Il filo di seta rimanda alla via della seta, la via della seta all’oriente, l’oriente al Gran Khan, il Gran Khan a Marco Polo, e Marco Polo ad un racconto che si srotola come il filo da un fuso e Rustichello da Pisa che lo raccoglie, Marco Polo e Rustichello da Pisa alla prigione in cui sono rinchiusi, la prigione di nuovo al bozzolo (avete presente quel gioco della settimana enigmistica, il bersaglio?).
Non vorrei che gli scrittori veri si offendessero. Oggettivamente, i bruchi non sono proprio una bellezza, a vedersi. Eppure proprio questa corporalità bruta (tegumenti molli, pelo folto, tanto per citare) cade a fagiolo per suggerire tutto quello sta alle spalle dello scrittore, il suo vissuto magari infelice, le sue frustrazioni, le sue imperfezioni. Quando però le cose vanno bene, i tegumenti molli, le zampe etc. non impediscono comunque di creare delle opere formalmente perfette, delle storie che poi viaggiano per conto loro nel mondo, ovvero, l’avevate già capito, delle bellissime farfalle (non vorrei aver messo la testa nel vespaio, tanto per continuare con gli insetti, dell’eterna disputa tra lo spirito e il corpo).
Ma il punto è che per il bruco fare il bozzolo è una cosa naturale. Non che sia facile, striscia per il mondo, magari è pure umido, qualche sbadato o maligno va a finire che lo pesta, deve mangiarsi tutte quelle foglie (sarebbe questa la fitofagia, ho controllato sulla Garzantina), però alla fine, senza che nessuno gli dica niente, zac, il bozzolo. Nessuno glielo insegna.
C’è poi un altro discorso. C’è scritto “molte specie sono provviste di ghiandole labiali”, non “tutte le specie sono provviste di ghiandole labiali”. Per molti, ma non per tutti. Allora, se uno non ce le ha, può scrivere lo stesso? No.
Capite che il problema non è semplice. Capite tutte le perplessità che ho avuto prima di iscrivermi alla Holden. Se uno ha le ghiandole, che scriva e basta. Se uno invece è uno scarafaggio ma crede di essere un bruco, non puoi mica trapiantargli le ghiandole.
Insomma, la Holden può servire a qualcosa? Alla fine, ho deciso di andare a vedere di persona. Mi sono iscritto al corso di racconto e romanzo. In fondo speravo che le mie ghiandole non si fossero ancora sviluppate bene. Ero molto sulla difensiva, perché non sapevo se allievi e docenti avessero capito bene questa faccenda dei bruchi. Niente di peggio che vedersi svolazzare attorno delle farfalle di cartone, o degli scarafaggi (gli insetti non mi piacciono molto). Avevo anche paura di capire di essere uno scarafaggio. O peggio, che illudessero la gente circa le ghiandole. C’erano poi quelle strizzatine d’occhio sul depliant, frasi tipo “A 50 metri c’è il Po. A 500 la Stampa e altra roba Fiat.” Quella c’è sempre. Oppure, “nella speranza che Salinger non lo venga a sapere” (ti viene voglia di telefonare immediatamente in America solo per dirglielo). Essere prevenuto è una delle mie specialità.
Alla fine mi è piaciuto molto. Il corso era articolato in lezioni teoriche, dove si guardavano un po’ più da vicino le tecniche usate dagli scrittori “veri”, e in lezioni di commento ai “compiti” settimanalmente assegnati. La prima volta in cui hanno restituito i compiti commentandoli è stato molto buffo, si respirava un’aria tipo liceo, la stessa tensione di quando venivano riconsegnati i compiti in classe. I docenti non si sono presentati come depositari di formule magiche, ricette di ingegneria genetica, etc. Non hanno creato false illusioni. Hanno fatto una cosa onesta. Io ho apprezzato molto soprattutto questo.
In generale mi è molto difficile valutare che cosa ho imparato, se non a lunga distanza (le perplessità legate alla faccenda dei bruchi sono rimaste intatte, per cui rimane il dubbio che in realtà non si possa far nulla per le ghiandole). Una cosa mi sento di dire: è veramente molto utile avere la possibilità di essere letti da persone competenti (si possono avere informazioni sull’esistenza delle proprie ghiandole, e sulla loro potenzialità serotina).
Poi c’è tutto il contorno, gli scrittori che vengono a parlare del loro lavoro, gli spettacoli, la possibilità di conoscere gente nuova, etc. E al di là del fatto che le sedie sono veramente scomodissime (intonate all’arredamento, certo, ma scomodissime) è un posto pulito, illuminato bene (tanto per infilare una citazione). Insomma, se i bachi ci sono, possono crescere con un po’ di sostegno. Alla fine il problema è sempre continuare da soli, senza qualcuno che ti costringa a fare i compiti.
di Stefano Mola