Sculture di luce
Novembre 21, 2004 in Arte da Sonia Gallesio
Ciò che importa per me, nell’arte, è far dimenticare la materia… [Medardo Rosso]
[In Rosso] il tocco sensuale del pollice, che imita la leggerezza della pennellata impressionista, dà un senso di vivace immediatezza, ma obbliga alla esecuzione rapida dal vero…
[Umberto Boccioni, dal manifesto La scultura futurista, 1912]
Dislocazione e modellazione libera dei soggetti. Grande attenzione per l’atmosfera, intesa anche quale impressione scenografica. Interazione sinergica tra opera e spazio circostante, per la quale la materia scultorea – la sua superficie in primis – reagisce alla luce e agli agenti ambientali. Ogni aspetto dell’attività di Medardo Rosso (inclusa la forte partecipazione emotiva durante la creazione), costituisce in modo evidente un’assoluta novità per il suo tempo. Se è vero che nei suoi lavori degli esordi è ravvisabile l’influsso di Grandi, infatti, è innegabile com’egli si spinga presto decisamente oltre, fino a meritare l’appellativo di precursore della scultura moderna.
Stimolato in quel di Milano dalle tematiche veriste, per certi versi fa con bronzo e cera ciò che altri straordinari autori come Lorenzo Viani fanno con la pittura: raccontare la realtà sociale dell’epoca, rappresentando condizioni di disagio, sofferenza, solitudine, vecchiaia, povertà.
Senza mai aggredirne e snaturarne l’essenza prima, il maestro forza “dall’interno le convenzioni tradizionali della scultura” (Luciano Caramel, da Precursore o contemporaneo? Medardo Rosso oggi, testo pubblicato in catalogo), l’immobilità della materia anzitutto. Per questo il suo percorso può essere accostato all’ultima sperimentazione di Paul Cézanne, nel cui ambito egli mette energicamente in discussione le regole prospettiche senza negarle, bensì intervenendo in modo innovativo su di esse.
Assai singolare, il metodo di lavoro di Rosso si divide in due tempi: quello “caldo ed esagitato dell’ispirazione e della modellazione del gesso, e quello, riflessivo e freddo, nel quale dalla creta modellata è ricavata una controforma da cui è ottenuta una perfetta replica […], matrice delle edizioni successive, realizzate con una gelatina estremamente duttile e operando sottili e significative varianti” (Carlo Bertelli).
Il linguaggio dell’autore, già lo si è detto, è del tutto libero, così com’è emancipato il suo tocco. Le sue sono opere mutevoli, rese vive dal cangiare dei riflessi luminosi sulle superfici: vere e proprie sculture che vibrano di luce, insomma. Alcuni scritti inviati all’amico Prezzolino in relazione all’Esposizione Internazionale del 1911, confermano un aspetto sorprendente: il fatto che egli desideri che i suoi pezzi siano affiancati ai dipinti di altri, in modo da vederne accentuati i contrasti di luce, oppure affinché i riverberi colorati degli stessi li raggiungano formando un tutt’uno armonico.
Un altro fattore determinante per Rosso è la percezione della scultura da parte dello spettatore. Del resto, lo sosterrà molto tempo dopo Giulio Carlo Argan, “un’opera è opera d’arte solo in quanto la coscienza che la recepisce la giudica tale” (da Storia dell’arte, volume 1, 1969).
Per l’artista, ancora, è importante trasferire l’impressione (da qui il facile e scontato accostamento con i pittori impressionisti): catturarla in una forma concreta, ma al contempo rendere la stessa viva ed autonoma grazie alla predisposizione della sua corteccia a mutare grazie a bagliori e rifrazioni.
Oltre all’uso delle patine, soprattutto nelle cere, una delle peculiarità non trascurabili dal punto di vista tecnico è l’intervento sui lavori realizzati in precedenza: una sorta di mutilazione, di riduzione della massa volumetrica, che negli anni diviene via via più frequente e tende a semplificarli sempre più, ad attenuare la loro descrittività, spesso dando origine a veri e propri inediti.
Tutte le citazioni presenti sono tratte dal catalogo della mostra Medardo Rosso. Le origini della scultura moderna, Ed. ArtificioSkira, 2004.
Rosso alla GAM
Rosso e la fotografia
di Sonia Gallesio