Shrek, splendida controfavola
Agosto 5, 2001 in Cinema da Redazione
“Shrek” (Usa, 2001) di Andrew Adamson e Vicky Jenson. Animazione
Abbandonate le canzonette ed i patetismi della tradizione disneyana, i cartoni della Dreamworks hanno offerto da subito prodotti in grado di conciliare le esigenze dei più piccoli con quelle di chi li accompagna. Film come “Z la formica” o come “Shrek” hanno il merito di sdoganare la tecnica dell’animazione dal recinto del genere “per ragazzi”.
L’impresa (in queste due pellicole, come già nel “Principe d’Egitto” e nell’apprezzabile “Galline in fuga”) è stata quella di creare due livelli di lettura: uno per i grandi ed uno per i piccoli. L’operazione è riuscita. Se “Z la formica” aveva un suo spessore filosofico e “Galline in fuga” una notevole intelaiatura metaforica, “Shrek” è sicuramente il più divertente lungometraggio d’animazione mai realizzato.
La Disney (con la Pixar, la società deputata alla produzione di pellicole d’animazione digitale) insegue: a livello formale e contenutistico.
La favola, narrata con straordinaria perizia tecnica dalla coppia Adamson – Jenson, fa gioire i bambini, ma strizza l’occhio agli spettatori più “allenati”. Il film è un continuo gioco delle citazioni: la principessa Fiona che si scatena in colpi di kung fu e in acrobazie degne di Matrix, l’orco che combatte nell’arena imitando i campioni del wrestling e le innumerevoli ironie sul mondo Disney.
Sì, perché Shrek è soprattutto una controfavola, un capovolgimento esilarante e azzeccatissimo degli usurati canoni disneyani. Il film inizia nella toilette dell’orco, il quale usa una pagina del libro delle favole per funzioni estremamente prosaiche. Da subito è chiara l’intenzione di un capovolgimento antiretorico degli autori. La parodia più sottile,, a metà film, vede la principessa Fiona duettare con un uccellino come nella migliore tradizione dei frequenti (e, aggiungiamo, insopportabili) stacchi musicali disneyani. E’ solamente un attimo. La principessa e l’uccellino duellano a chi raggiunge l’acuto più alto finché l’uccellino non esplode, lasciando alcune piume svolazzanti.
Nella sequenza successiva si vedono tre uova nel nido rimaste “orfane”. Patetismo? Macché nella sequenza dopo sono aperte a friggere su di una roccia.
Anche la rappresentazione della città di Lord Farquaad è una palese ironia sul substrato militaresco di certe istituzioni come Disneyland o Disneyworld. Per non parlare delle caute e leali ironie sui tanti personaggi disneyani: da Biancaneve e Cenerentola, prima ridotte a concorrenti di un quiz sullo stile del “gioco delle coppie” e poi “litiganti” per un bouquet mancato, che differirà ulteriormente il loro appuntamento con il matrimonio. I sette nani incatenati all’inizio e rockeggianti alla fine, le streghe che (come negli aeroporti) atterrano con il beneficio delle luci, mastro Geppetto ridotto a bieco mercante. Ma il vero grande capovolgimento è il finale. Andate a vederlo. Anche se non amate i cartoni animati, ma soprattutto se non amate certi cartoni animati.
di Davide Mazzocco