Singolari presenze ai Mercati
Settembre 15, 2004 in Arte da Sonia Gallesio
Ogni opera d’arte che vuole attingere i livelli più alti deve, con pazienza e applicazione infinite, ripercorrere fin dall’attimo del concepimento i millenni, raggiungere, se possibile, la notte immemorabile popolata di quei morti che si riconoscono in essa… [Jean Genet]
Le sue teste, ora segnate da sevizie e torture, ora deposte come lo furono quelle dei martiri d’ogni tempo e d’ogni fede, i suoi busti, sotto la cui pelle qualcuno ha deposto ex voto e amuleti d’una perduta, adorante religione, mostrano che il disseppellimento della Bellezza ha scatenato e scatena in lui una sorta di accanimento. Come se avvertisse che il nostro tempo la Bellezza non sa più veramente accoglierla ed amarla…
[Costanzo Costantini, 2004, da L’enigma della Bellezza, testo pubblicato nel catalogo della mostra]
Busti acefali. Torsi feriti. Volti bendati. Teste monche o addormentate (Sonno tatuato sdraiato, 2002; Dormiente grande, 2001). Eroi di un’epoca remota la cui eco è sempre viva, riesumati per indagare ed interpretare la contemporaneità. In marmo bianchissimo, terracotta, ghisa, travertino, o ancora bronzo patinato (Egeo, 1999, di un bellissimo blu solforato). Per tutti gli appassionati d’arte, è impensabile non riconoscere i lavori di Igor Mitoraj (Oederan tedesca, 26 marzo 1944): hanno uno stile inconfondibile, che sfugge ogni classificazione, una potenza comunicativa che ha dell’incredibile, quasi del soprannaturale.
Sono opere all’apparenza immobili, cristallizzate, che tuttavia respirano, trasudano segreti, valori, ricordi, indizi di un passato che ci è indispensabile per non perdere la nostra identità. Rappresentano una sorta di ponte, una via per attingere ad una ricca eredità, al serbatoio comune dell’umanità. Si tratta di vere e proprie reliquie avvolte nel silenzio, trasposte in virtù dell’abilità creatrice dell’artista, oggi genialmente collocate in un luogo – i Mercati di Traiano (II secolo d. C.) a Roma – che come nessun altro riesce a restituire allo spettatore un equilibrio perfetto tra età antica e dimensione presente, tra classicità ed attualità.
Disseminate fra la Grande Aula, l’emiciclo del Foro e lungo la via Biberatica, sembra che le sculture selezionate (circa una sessantina) siano state create appositamente per il percorso espositivo allestito in questo sito di impareggiabile valore storico, anche se in realtà, come gli appassionati ben sapranno, lo è stato soltanto il nucleo inedito Città perdute.
L’arte di Mitoraj porta a riflettere su alcuni temi fondamentali: la verità, innanzitutto, e la bellezza. Quella che ci svela è una beltà struggente, perfetta perché imperfetta, terrena, estremamente concreta, che resiste al tempo “anche se lacerata e assediata dalle intemperie esistenziali” (Rudy Chiappini), che appunto sopravvive ad ogni aggressione, amputazione, tormento. Come scrive Costanzo Costantini, infatti, “è proprio là, nei punti in cui l’antichissima legge o ordinanza ha mutilato le sue sculture, che più preme l’istanza della perfezione e più si costruisce, di bel nuovo, la legge […] dell’armonia”.
Che siano scavate nella carne o nello spirito, dunque, le ferite possono dare origine alla bellezza: perché sono reali, inevitabili, allo stesso tempo personali ed universali, inconfessate eppur collettive. Quelle screpolature che rendono così uniche le proposte dell’artista polacco, ad esempio, sono sì segni in superficie del trascorrere del tempo, ma anche traduzione di un dolore interiore (Ikaro screpolato e Tindaro screpolato, bronzo, 1998).
Un’altra peculiarità dei lavori del maestro è costituita dalle aperture occhieggianti contenenti altre figure che da esse fanno capolino (Ikaria, 1996; Grande Porta, 2001; Gambe alate, 2002; Città perduta VI, 2004; tutti in bronzo): si tratta di arte nell’arte, di frammenti di anima che divengono opera e si concretizzano in stratificazioni materiali tridimensionali. Ecco dunque palesarsi un fitto intreccio di rimandi e riferimenti: quelle finestrelle dischiuse, per dirla con una metafora tutta contemporanea, somigliano proprio a icone sulle quali cliccare, sul desktop della memoria.
E, ancora in materia di tratti caratteristici, come non ricordare le fasciature? Se all’inizio della carriera dell’autore sembrava che i suggestivi bendaggi dovessero diventarne l’elemento distintivo in assoluto, via via essi si sono allentati e discostati dai volti (anche se spesso sono ritornati e ritornano nella produzione successiva), ora lasciando spazio ai lineamenti propri della beltà classica, ora facendo intravedere coppie di occhi e bocche sensuali. Qui, il paradosso sta proprio nel fatto che svariati soggetti appaiono tanto più incisivi quanto più sono celati, essendo rivelati proprio da ciò che formalmente li occulta (“Le bende […] definiscono l’involucro esterno del volto e contemporaneamente lo privano di qualsiasi espressione concreta”, Julian Zugazagoitia, 2004, da I labirinti dello sguardo, testo pubblicato in catalogo). A questo proposito, in mostra, si osservino Eclisse media (marmo bianco, 2000) e Hypnos (marmo rosa Portogallo, 2001).
Mitoraj, come si è visto, ha dato sempre grande importanza alle superfici. Si pensi ai suoi bronzi impreziositi da patine uniche ed irripetibili, come se quei rivestimenti esterni fiorissero, spurgassero una misteriosa sostanza, attaccati e contaminati dai virus benefici del passato. Di contaminazione, inoltre, si può parlare anche riferendosi alla completezza canonica volutamente saccheggiata (e qui la contaminazione sta in un processo di sottrazione che genera perplessità, ma che in realtà si rivela incongruo soltanto da un punto di vista strettamente lessicale), privata di parti, o ancora all’armonia delle superfici epidermiche sfregiata da tagli, graffi, incisioni.
E se il derma può trasformarsi in papiro su cui vergare messaggi, mappa sulla quale sottolineare tracce, e far riaffiorare verità cifrate, la mente di alcuni visitatori potrebbe approdare idealmente alle creature monumentali di Rabarama (lungi da me l’intenzione di dar vita qui a qualsivoglia confronto o parallelo tra i due artisti!), che mi piacerebbe moltissimo trovare anch’esse, chissà, esposte nella splendida cornice del complesso traianeo.
Del tutto superflua, a mio avviso, la raccolta di un esiguo numero di pezzi incompiuti collocata all’interno di due tabernae della via Biberatica, soprattutto considerandone la funzione rivelata dalla presentazione alla mostra: rimandare all’atelier di Mitoraj di Pietrasanta (Lu). Inutile, davvero, e tutt’altro che verosimile! Potrei azzardare, addirittura, che sia stata pensata per tappare un paio di buchi nell’allestimento…
Piuttosto ben fatto, invece, il catalogo pubblicato da Art Media, affascinante reperto cartaceo di un evento e di un’interazione tra luogo espositivo ed opere difficilmente ripetibili.
Mitoraj ai Mercati di Traiano
Roma, Mercati di Traiano, via IV novembre 94
Fino al 19 settembre 2004
Ingresso: intero € 7.50; ridotto € 4.40
Orari: da mart a dom 09.00/19.00
Catalogo: Art Media, € 38,00 in mostra
Per info: 06 82.077.304
Tutte le citazioni presenti nel testo sono tratte dal catalogo della mostra Mitoraj ai Mercati di Traiano
, 2004, edito da Art Media.
di Sonia Gallesio