Sogno d’estate a Verona
Settembre 7, 2003 in Medley da Redazione
E’ una vita che sogno di andare a vedere l’Aida a Verona, ed ecco che la serata magica è giunta e io sono davanti all’Arena!
Ma non mi smentisco mai: arrivo come al solito in ritardo e mi si pianta un tacco tra i cubetti di porfido della piazza. Ach! Anche qui il perfido porfido! Mentre faccio sforzi sovrumani per sganciarmi senza perdere completamente l’aplomb, per darmi un tono mi guardo intorno e la meraviglia mi distrae momentaneamente dal mio arduo compito.
Che effetto osservare questo pezzo di storia poggiato tanto indifferentemente nel centro di Verona! Se non fosse per il via vai delle eleganti signore e signori, in abito da sera le une, e in giacca e cravatta gli altri, quasi non si noterebbe che questa è l’ARENA di VERONA! Millenni di storia a servizio della lirica e degli spettacoli estivi veronesi. Un simbolo per la musica lirica di tutto il mondo.
Il problema del tacco mi viene ricordato da una voce gentile che mi chiede se ho bisogno d’aiuto: ancora soprappensiero, ringrazio ma riesco a disincagliarmi da sola, ritrovando poco oltre una tiratissima Simona, che mi aspetta per entrare. E faccio il mio primo ingresso nell’Arena.
Osservo incuriosita la struttura, ancora tutta autentica e ben conservata all’interno, e come è stata adattata per il passaggio di così tanti spettatori, e tutte le sere!
Un’altra prerogativa degli spettacoli all’Arena, poi, è che praticamente ogni sera della stagione, offrono a turno uno spettacolo diverso. Quest’anno le opere che si alternano sono la Turandot, l’Aida, la Carmen, il Nabucco, la Traviata, ma in versione Gala, e il Rigoletto (e se volete saperne di più vi rinvio al sito ufficiale: www.arena.it). E ciò implica un gran lavoro, perché è necessario cambiare le scenografie, riprendere gli abiti giusti, risistemare libretti d’opera e foto. Le soluzioni tecniche dei passaggi sono semplici e nello stesso tempo efficienti, bagni e bar dove servono, e l’insieme si offre alla vista come un curioso mix di sontuosità, con i suoi morbidi tendaggi di velluto rosso che scendono dalle enormi arcate e di austera semplicità, con i nudi gradini in pietra lisciata da secoli di passaggi umani, una credenziale di antichità.
E in mezzo a tutta la varietà di opere rappresentate, vi chiederete voi, perché proprio l’Aida voglio andare a vedere? Perché l’Aida è diventata il simbolo del simbolo? E’ molto semplice: perché fu l’Aida la prima opera lirica ad essere rappresentata all’Arena, e forse quella che per le sue caratteristiche di maestosità e necessità di spazio per le comparse meglio rappresenta questa manifestazione così unica.
Si era il 10 agosto del 1913 quando la prima Aida venne rappresentata sotto i cieli veronesi, con il grande Zenatello nel ruolo di Radames e Ester Mazzoleni come Aida.
Se il problema dell’acustica (e se avete mai provato a cimentarvi in un coro come la sottoscritta saprete cosa intendo) costituì all’epoca uno dei più seri dubbi alla buona riuscita dello spettacolo, ancora oggi stupisce la miracolosa acustica dell’anfiteatro, che aperto al cielo, e di forma oramai neanche più perfettamente simmetrica (i secoli qualche segno l’han ben lasciato!), non disperde la voce degli artisti, ma la conserva intatta per tutto il teatro. Alla prima delle 430 rappresentazioni a oggi dell’Aida – e quest’anno fanno 90 anni che l’Aida si rappresenta. Auguri, li porta benissimo! – vi furono ospiti illustri da tutto il mondo, membri dell’aristocrazia italiana, oltre a nomi di tutto rispetto nel campo della musica, come Puccini e Mascagni e, curiosità, anche Kafka.
Curiosità per curiosità, vi dirò anche che all’Arena debuttò anche la Callas, quando ancora nessuno sapeva quel che sarebbe diventata.
Ma stop alle divagazioni storiche, nelle quali così volentieri mi perdo: viviamo il presente! L’Arena come per magia si illumina di mille piccole lucine: è la rituale accensione delle candeline che vengono assegnate agli spettatori seduti sui gradoni. La luce del giorno se ne va e al suo posto appaiono le stelle in cielo e le lucine nell’arena: uno spettacolo nello spettacolo!
Sono ancora intenta a godermi la vista d’insieme quando il celebre “Celeste Aida” risuona nell’Arena, e con esso la narrazione della tragica vicenda. Sono ingredienti semplici e, nello stesso tempo, immortali: un comandante eroico delle guardie, innamorato di una schiava, ma concupito dalla figlia del re. Guerre per sfondo, e passioni umane e immutabili per cuore: cambia qualcosa se il re è un faraone, la schiava, Aida, è etiope e la sua rivale in amore è la figlia del faraone?
Beh, un po’ sì, perché la scenografia rappresentata non è di tutti i giorni: grande piramide sullo sfondo, che a seconda delle esigenze di scena gira come una versione piramidale del cubo di Rubik, dando origine a effetti speciali. Statue stile Memnone, porte di palazzi regali e persino segrete stanze di templi. Eppure, quando la regina infuriata scopre l’amore della sua schiava per Radames, e le urla l’equivalente lirico di un “Adesso ti farò vedere io con chi hai a che fare” che fa accapponare la pelle, sembra così comune questa tragedia dell’amore non ricambiato, e dell’assurda speranza di forzarne l’esistenza con il potere!
Eh, sì, cara la mia regina, hai proprio poche speranze, perché Radames è proprio bell’e innamorato della sua schiava, ed è pronto, anche dopo aver salvato l’Egitto e aver ricevuto dal re la promessa di avere la mano della figlia, e quindi il regno, a mollare tutto e scappare con il suo amore…
Due intervalli consentono agli spettatori di sgranchirsi le gambe, ma lo spettacolo procede serrato e senza intoppi. E’ d’uopo accennare al fatto che quest’ultima versione dell’Aida rappresentata all’Arena ha come regista Zeffirelli, e secondo me si nota. Aggiunge spettacolare allo spettacolare. Alcuni costumi in ogni caso mi colpiscono: la ricostruzione storica è piuttosto fedele, e sicuramente a forza di studiare come rappresentarla meglio si son fatti grandi progressi. La stesura iniziale dei décor venne seguita niente po’ po’ di meno che da Auguste Mariette, celebre egittologo francese. Ma la visione di insieme viene appagata dal movimento fluido delle masse rappresentanti la plebe, o i sacerdoti, o le guardie. Il balletto degli schiavi etiopi è bellissimo: il loro essere selvaggi viene espresso sì dai costumi, ma anche dai movimenti, studiatamente erotici, come per suggerire l’equazione selvaggi = simili alle bestioline e senza vergogna… Quando viene intonata la marcia trionfale dell’Aida, mi viene la pelle d’oca dall’emozione: che bello sentire queste note lanciate limpide nella notte, tra stendardi colorati di schiere di audaci… Mi accorgo di aver perso un po’ il contatto con la realtà: con la mente sono ormai in Egitto…
La voce di Amneris, interpretata questa sera da Larissa Diadkova, che all’inizio facevamo più fatica a distinguere, si fa più netta e più pura, quasi a presagio della disgrazia che incombe, di cui è lei colpevole e che tuttavia vorrebbe infine poter evitare.
L’ineluttabile si compie: scoperto il tentativo di diserzione di Radames-Piero Giuliacci ai suoi doveri di condottiero, per fuggire con Aida-Micaela Carosi, parte la condanna ad essere sepolto vivo nella cripta del tempio. Il padre di Aida, capo dei ribelli etiopi, un ottimo Ambrogio Maestri nel ruolo di Amonasro, viene ucciso, e Aida, coraggiosamente, si fa rinchiudere di nascosto nella cripta con Radames, pronta a condividerne la macabra sorte. E siamo all’epilogo: applausi risuonano per ogni dove nell’Arena, mentre gli interpreti si inchinano al pubblico.
Il tempo di ritornare dall’Egitto, sperando in fondo al cuore che Aida e Radames se la siano in realtà svignata per uno dei passaggi segreti del tempio, tanto cari ai tombaroli, e abbiano così potuto vivere tranquillamen
te il loro amore come due persone comuni, e non con destini così pesanti, ed è già l’ora di uscire dall’Arena…
Arrivederci Arena, e a presto, ci sei entrata nel cuore…
di Gabriella Gibiino