Stefano Sardo per Traspi.net
Agosto 17, 2002 in Spettacoli da Sonia Gallesio
La passione per il basket, per il cinema, per gli home-video ed i telefilm, l’università a Palazzo Nuovo a Torino, le serate al Macabre e l’ambiente della “cittadina”: il tuo romanzo, L’america delle Kessler, è strettamente autobiografico, nevvero?
Si e no. Si, perché ho scelto di raccontare cose che conosco molto bene. No, perché le ho usate, strumentalmente e impunemente, per i miei scopi, senza preoccuparmi di essere fedele… E’ un romanzo pieno di elementi autobiografici, ma non è affatto un’autobiografia.
Ogni passo del tuo libro sembra avere un peso tutt’altro che irrilevante, ogni frase sembra essere un numero di un conto che non torna. Credi che il passato si possa lavar via, fino in fondo?
Questo è un romanzo a struttura debole, senza una storia con la ‘s’ maiuscola che sorregga il tutto: salto di palo in frasca, indugio, divago… per cui sì, in effetti la cosa che mi preme di più sono le parole, il linguaggio, e una certa attitudine ‘imbecille’… Quanto al passato, i conti non tornano quasi mai in effetti, per questo è necessaria una somministrazione costante di ironia. Per non dannarsi l’anima a farli quadrare, quei conti…
Ogni capitolo si apre con una precisa selezione musicale, una canzone che sicuramente consigli ma che, più che altro, è adatta al momento che stai raccontando. Da esperto quale sei, consentimi l’aggancio, qual è la tua hit-parade per quest’estate? Quali sono, a tuo parere, (oltre al disco dei Mambassa, naturalmente!) i lavori più interessanti dell’ultimo periodo?
Sento tantissimo i Notwist, ultimamente, ed è molto bello l’ultimo di Badly Drawn Boy. Ho appena visto i Black Rebel Motorcycle Club dal vivo e devo dire che hanno tre o quattro brani formidabili. Un brano per l’estate? Non è affatto estivo, ma mi piace molto l’ultimo singolo di Marco Parente.
Ne L’america delle Kessler mischi un linguaggio piuttosto sboccato a citazioni di tutto rispetto (da Salvador Dalì all’Uomo Ragno, da Orson Welles a Jeeg Robot d’acciaio!!): un cazzaro di spessore, si direbbe…
Conosco i miei limiti. Per cercare di mascherarli ho tirato dentro il romanzo un’infinità di elementi diversi, alcuni “alti” altri infimi, per creare un polverone e distrarre il lettore, per non fargli vedere le debolezze dell’autore…
Uhm, astuto devo ammettere… Ma proseguiamo… Da Mi manca chiunque a L’america delle Kessler: nella tua produzione sembra esserci una costante, la paura della solitudine. Cosa rappresenta per te? L’estraniazione può equivalere alla mancanza d’amore? E’ importante sentire di appartenere a qualcuno o a qualcosa?
Touchez. Mi cito? Mi cito. “La solitudine è una malattia come un’altra. Solo che non viene nessuno a curarti.” Io sono un orso che non dà troppa confidenza ma che ha il terrore di stare da solo, il che come puoi immaginare è una discreta iattura. Quanto all’estraniazione, beh, sicuramente porta a lacune affettive, ecco perché cerco di combatterla “esponendomi” pubblicamente.
So che nella vita reale hai due fratelli gemelli, mentre nel romanzo lo sono i tirannici cugini tedeschi del protagonista. Qual è stata la tua esperienza personale? E’ vero che i gemelli hanno un rapporto di complicità piuttosto particolare?
Assolutamente sì. Credo sia impossibile comprendere questo tipo di rapporto, che è forse il più stretto di quelli tra esseri umani, dall’esterno. Li ho invidiati parecchio, da piccolo, poi il mio ego ha cominciato ad apprezzare il fatto che fossi unico e inimitabile, e, insomma, ho smesso di sentirmi un escluso e ho tirato dritto per la mia strada.
Leggo da pag. 172: “E’ come se dentro di te si creassero sempre degli ostacoli che ti impediscono di agire all’altezza della situazione”. Personalmente, credo che – di fatto – spesso si abbiano tutte le carte in regola ma che si inneschi un meccanismo che è una sorta di “auto-castrazione”, una specie di auto-censura le cui origini sono sicuramente lontane… Sei d’accordo?
Di sicuro gli esiti delle nostre azioni “sociali” sono fortemente legati alla convinzione nei nostri mezzi, per fondata o meno che sia. Penso cioè che un coglione molto motivato abbia molte più chances di un – che so – premio Pullitzer potenziale con una spiccata sociopatia. Gli esempi abbondano, in effetti.
A pag. 117 c’è un passo che mi è piaciuto moltissimo, che mi ha fatto anche sorridere: “Il volto di Alison emana mute melodie sexy, i tuoi ormoni le ascoltano nei loro minuscoli walkman.” Cosa deve avere una donna, per te, per essere sexy?
Domandona. Non saprei. Non ritengo molto sexy la femminilità più esibita e spinta, aggressiva, da battaglia… No, ecco, io sono più per la complicità, le sorprese, lo humour. Cavolo, siamo franati nel “marzullismo”, o sbaglio?
Ahi…, colpita! Si, in effetti… ma resisti, le domande sono quasi finite…
Spesso nel libro parli di “una fila di stanze identiche”. Hai scritto anche una canzone su questo interessante e suggestivo concetto, brano che i Mambassa hanno incluso nel CD d’esordio (Stanze, da Umore blu neon, 1997). Quelle porte che si susseguono, apparentemente uguali, che significato hanno per te?
La canzone e i passi del libro cui ti riferisci sono figli di una stessa ossessione, credo dettata dalla paura di vivere una vita senza sorprese, in scenari solo apparentemente diversi. Col tempo che passa inesorabile senza insegnare niente…
A proposito di Mambassa, quali saranno le prossime date del vostro tour? Tornerete a suonare a Torino, in autunno?
A fine estate suoniamo sia a Bra, la nostra cittadina (il 31 agosto), che a Torino, credo il 6 settembre. Poi uscirà il singolo de Il Cronista, con un paio di inediti, e noi andremo avanti a suonare e a proporci, finché ci sarà qualcuno che avrà voglia di vederci all’opera. Mi piace molto il nostro live attuale, ne sono fiero, e spero di avere molte occasioni di portarlo in giro per l’Italia. Anche se il paese non è che stia attraversando un gran periodo per la musica dal vivo, purtroppo…
Tornando al libro… Nel tuo romanzo ricordi Kérouac e Sallinger. Sono questi i maestri della tua formazione? E chi altro? Quali sono i tuoi scrittori preferiti di oggi?
Purtroppo sono cresciuto con le traduzioni di scrittori anglosassoni, ben più che con i maestri (“in lingua originale”) della letteratura nostrana. Chi mi piace? Sono un contemporaneista vergognoso… Qualche nome? Tom Robbins, Joe Landsdale, Nick Hornby, Jay McInerney, John Irving, James Hawes, David Foster Wallace…
L’america delle Kessler l’hai scritto ormai diverso tempo fa, anche se è appena stato pubblicato. Hai già in cantiere qualche altro progetto letterario?
La stesura originale risale in effetti a cinque anni fa, ma ci sono tornato su, e parecchio, nell’ultimo periodo, cambiandolo moltissimo. Ora non so ancora cosa scriverò: forse un film, forse un romanzo nuovo… Devo ancora iniziare, comunque.
Beh, qualunque sia la scelta finale in bocca al lupo! Per concludere… So che ti sei trasferito di recente a Roma: di cosa ti stai occupando, esattamente? Quali sono i tuoi prossimi traguardi?
Ho fatto uno stage di tre mesi sulla sceneggiatura seriale, a Mediatrade. Ho partecipato all’ideazione di telefilm, in pratica, e come sai – lo si evince anche dal libro – sono una delle mie fissazioni… Adesso voglio scrivere un film, e, perché no, provare a campare scrivendo, sempre continuando con i Mambassa. Molte ambizioni e pochi liquidi, ecco. Ma mi diverto, per adesso. E tanto mi basta.
Non mi resta che augurarti buon lavoro, allora! Ma anche buone vacanze…
di Sonia Gallesio