Stop alle “antenne selvagge”
Aprile 13, 2001 in Technology da Redazione
In questi ultimi mesi infuriano in tutta Italia, come mai è successo prima, le polemiche sull’inquinamento elettromagnetico: persino Radio Vaticana rischia la chiusura, a causa della rilevazione, nella zona in cui sorgono le antenne dell’emittente, di valori di gran lunga superiori a quelli massimi di soglia consentiti dal decreto Ronchi.
Torino non fa certo eccezione: è vecchia di appena un paio di settimane la protesta degli abitanti della Crocetta per essere uno dei quartieri della città maggiormente colpiti dalla proliferazione di “antenne selvagge”. Cittadini in piazza uniti per far fronte comune contro i gestori di telefonia mobile, responsabili, secondo molti, di “intaccare” la salute dei residenti delle zone dove ormai quasi ogni giorno spuntano nuove antenne sul tetto dei palazzi limitrofi.
Per arginare questa crescita incontrollata, come opera il comune di Torino? Avevamo scritto, qualche settimana addietro, riguardo al protocollo d’intesa per la localizzazione, l’installazione e la riqualificazione ambientale degli impianti per la telefonia mobile cellulare, definito dalla Provincia di Torino con la partecipazione di alcuni comuni e con i gestori di telefonia mobile (Telefonia, antenne non più a caso). Il protocollo è stato firmato il 7 marzo 2001, a Palazzo Cisterna, alla presenza del direttore dell’Arpa Piemonte e di rappresentanti della Provincia di Torino, dei gestori di telefonia mobile (Tim, Omnitel, Nokia Blu e Wind) e dei comuni di Alpignano, Avigliana, Carignano, Castellamonte, Chieri, Chivasso, Nichelino, Pianezza, Rivalta, Rivoli, Settimo.
Esattamente di che cosa si tratta? Ogni comune fornirà un elenco di siti considerati ottimali per l’installazione delle antenne di telefonia mobile che dovrà essere rivisto ogni anno. In questo compito i comuni saranno supportati dalla Provincia e dall’Arpa (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale), al fine di assicurare uno sviluppo ordinato, una corretta localizzazione degli impianti ed una riqualificazione ambientale e paesaggistica di quelli già esistenti. Una serie di azioni, insomma, finalizzate ad un controllo più efficace dell’inquinamento elettromagnetico e ad una salvaguardia urbanistica e paesaggistica del territorio.
La situazione attuale
Attualmente la situazione di Torino e provincia può essere riassunta elencando i procedimenti in corso e i risultati della relazione del gruppo di lavoro interministeriale per la tutela dall’inquinamento elettromagnetico.
Le inchieste in corso
Il procuratore aggiunto di Torino Raffaele ha aperto decine di procedimenti sugli impianti radiotelevisivi e sui ripetitori per telefonini; in quasi tutti i casi il pubblico ministero contesta alle emittenti ed alle compagnie telefoniche l’articolo 674 del codice penale, «getto pericoloso di cose»: sebbene l’atto di «gettare» le onde elettromagnetiche possa sembrare incongruo, in effetti è stato possibile estendere questo reato all’emissione di onde elettromagnetiche, che potrebbero causare danni alla salute, anche in seguito ad una sentenza della corte di cassazione del 4 agosto scorso.
Siti pericolosi
Il gruppo di lavoro interministeriale per la tutela dall’inquinamento elettromagnetico, raggruppando i risultati delle ricerche svolte da diversi enti, ha individuato in Piemonte 21 siti nei quali i campi elettromagnetici superano i limiti previsti dalla legge. Di questi, ben 20 corrispondono a stazioni radiotelevisive e soltanto uno a stazioni radio base (ripetitori per telefoni mobili).
Uno dei luoghi più esposti è il colle della Maddalena, affollato da una selva di antenne (54 emittenti radiofoniche e 28 televisive) che servono tutta l’area metropolitana di Torino. L’ARPA ha ivi rilevato diversi superamenti del limite di legge, fino ad un valore massimo di 3,1 W/m2 nella zona del parco giochi, chiuso al pubblico grazie ad un provvedimento dell’assessore all’ambiente del comune di Torino.
L’inquinamento elettromagnetico
Ma che cos’è in realtà l’inquinamento elettromagnetico? E quali conseguenze può provocare sulla salute dell’uomo? Come vengono calcolate e quali sono le soglie di pericolo? Nel seguito trovate alcune risposte a queste domande e considerazioni scientifico-metodologiche a cura dell’ing. Andrea Ferrero, profondo conoscitore della materia.
Gli effetti dei campi elettromagnetici
– Effetto fisico
Avviene quando un’apparecchiatura elettrica determina nell’ambiente circostante una variazione rilevabile dell’intensità di campo elettromagnetico. Nell’organismo umano i campi elettromagnetici interagiscono con le cariche e le correnti elettriche presenti, ma non causano effetti biologici al nostro corpo almeno fino a quando il fenomeno non è così intenso da ripercuotersi a livello cellulare o istologico.
– Effetto biologico
Avviene quando l’esposizione alle onde elettromagnetiche provoca qualche variazione fisiologica rilevabile in un sistema biologico, come le cellule, i tessuti o gli organi. Neppure un effetto biologico implica di per sé un danno alla salute, ovvero conseguenze sanitarie. Gli effetti biologici, in genere, vengono rilevati con studi di laboratorio, in colture cellulari o su animali.
– Effetto sanitario
Avviene quando l’effetto biologico è al di fuori dell’intervallo che l’organismo può normalmente compensare: e ciò comporta un danno alla salute. Un esempio di effetto sanitario di tipo cronico è quello dovuto a microonde sufficientemente intense per provocare un riscaldamento di un grado nel cristallino. Piccole esposizioni a campi elettromagnetici di questo livello possono provocare, se ripetute per lungo tempo, l’insorgere di una cataratta. Gli effetti sanitari si evidenziano di solito con studi su animali di laboratorio, oppure con studi epidemiologici, in cui si confrontano le condizioni di salute di un gruppo di persone esposte alla possibile fonte di rischio con quelle di un gruppo di persone non esposte (chiamato gruppo di controllo).
Ad un effetto sanitario corrisponde sempre un effetto biologico e ad un effetto biologico corrisponde sempre un effetto fisico, mentre non è necessariamente vero il contrario (ad esempio la variazione della percezione visiva è un effetto biologico dovuto a campi elettromagnetici, ma non comporta effetti sanitari). Tuttavia ci può essere un effetto sanitario senza che si conosca il corrispondente effetto biologico: ad esempio uno studio epidemiologico può scoprire che una determinata sostanza è associata all’insorgere di tumori, senza riuscire ad individuarne il meccanismo di azione. Questa circostanza è alla base di molte polemiche sulla presunta pericolosità dei campi elettromagnetici.
Misura dei campi
I parametri di esposizione sono l’ampiezza del campo elettrico [V/m], l’ampiezza del campo magnetico [A/m], e la densità di potenza [W/m2]. Gli effetti biologici e sanitari dipendono in modo determinante dalla frequenza, al punto che un campo di uguale intensità può essere pressoché insignificante o assai pericoloso a seconda della frequenza.
I rischi per la salute
La valutazione dei rischi per la salute indotti dai campi elettromagnetici è molto complessa, in quanto richiede competenze ampie e differenziate. Oltre ai pur numerosi studi di singoli ricercatori o gruppi specialistici (ad esempio biologi, fisici ed epidemiologi) sono necessarie valutazioni espresse da commissioni interdisciplinari, che permettono di coordinare le varie competenze e di tenere conto dei diversi punti di vista, compensandone la soggettività. Tra le molte istituzioni che hanno promosso la formazione di questi gruppi di studio spiccano l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
e la Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti (ICNIRP).
In particolare, l’OMS ha avviato nel 1996 un Progetto Internazionale CEM (campi elettromagnetici), che prevede esplicitamente tra le sue attività la revisione critica degli studi sugli effetti biologici e sanitari dell’esposizione a campi elettromagnetici. Proprio da una di queste revisioni (Monaco, novembre 1996) è emerso, sulla base della letteratura attuale, come non esista nessuna prova convincente avvalorante l’ipotesi che l’esposizione a campi elettromagnetici in radiofrequenza abbrevi la durata della vita umana, o induca, o favorisca, l’insorgere di patologie cancerogene.
Un limite delle attuali conoscenze è la difficoltà nel valutare gli effetti a lungo termine, in quanto la diffusione di massa di questi apparecchi è piuttosto recente. Alcuni studi, molto contestati sul piano della qualità metodologica, mostrano una relazione tra l’esposizione cronica, cioè prolungata nel tempo, a campi elettromagnetici anche di intensità molto bassa e l’aumento, pur piccolo, del rischio di contrarre alcune patologie tumorali.
In pratica l’unico effetto sanitario chiaramente dimostrato dalla ricerca dell’OMS è l’ovvio aumento del rischio di incidenti stradali in relazione all’uso di telefoni cellulari durante la guida (siano essi tenuti in mano o usati con dispositivi “a viva voce”).
Misure precauzionali
Chi è comunque preoccupato da eventuali rischi per la salute, può facilmente applicare alcune precauzioni. Per limitare le emissioni, i radiotelefoni andrebbero usati preferibilmente all’aperto e per tempi non troppo prolungati, soprattutto non in automobile, dato che la struttura metallica dell’autoveicolo causa un aumento della potenza di emissione e quindi dell’esposizione ai campi (tralasciando i pericoli per la circolazione cui si è già accennato), né tantomeno nelle abitazioni o negli uffici, dove sono disponibili telefoni fissi che non determinano agli utilizzatori l’esposizione a campi elettrici significativi. I telefoni senza filo o cordless hanno una potenza di gran lunga minore rispetto ai telefoni mobili, quindi il campo elettromagnetico che producono è trascurabile. I sistemi vivavoce o con auricolare riducono notevolmente l’esposizione, ma la loro efficacia è annullata se si parla tenendo il telefono cellulare in tasca, poiché in questo modo la sorgente di onde elettromagnetiche non viene allontanata dal corpo.
di Andrea Ferrero e Monica Mautino