Storia della pecora e dell’acaro nano
Febbraio 18, 2001 in il Traspiratore da Simona Margarino
Morale della favola: mai fidarsi dei kettles degli alberghi, sai cosa ci metti tu, ma non quello che ci hanno messo gli altri! (a volte l’esperienza docet).
Sergeja era una pecora assai poco pulita. Questo prima di incontrare Blair.
Ma cominciamo dal principio, volete?
C’era una volta, mica tanto tempo fa, il variopinto regno di Avioland, una terra fertile ove le oche prosperavano, i galli volavano e i vermetti, inamidati dallo spray per il forno, si introducevano nei buchi accoglienti delle loro casette pagando alla guardiana nonna Papera la modica cifra di 5 Franchi. Al suo interno, poco distante dal lago di Zupoor, sorgeva la locanda Hiltont, una magnifica costruzione circondata da un parco spettacolare destinato al jogging e a qualsivoglia altra attività fisica, in-wooding compreso.
All’entrata del motel era legata Sergeja, pelo crespo, testa riccia e gambe niente male. A vederla saltellare su e giù per i campi fioriti di lettere pareva una palla polverosa e sbadigliona: lo strato di sporco accumulatosi sul suo vello delicato le serviva da difesa contro l’attacco di virus e batteri. Ma un giorno…
Un bel giorno di giugno super-acaro Blair, facendosi strada col suo cellulare da una lontana isola d’oltre-Manica, riuscì a penetrare nel dedalo del suo miocardio e, aggrappandosi alla mitralica, vi conficcò la sua bandiera. La poverella, ormai parassitata, non poté che abbandonarsi al volere dell’amato che, come sempre accade, le chiese di cambiare.
Non pretese la sua lana, non volle la sua carne (era un acaro, non un uomo!), chiese solo il suo profumo. Armatosi di ammorbidente, le bendò gli occhi e la strofinò lungo tutta la schiena, fino quasi a infeltrirla. Ma, ahimé, dopo questa meticolosa operazione igienico-sanitaria, con stupore il suo naso realizzò che la missione non era conclusa: la questione biancheria intima era ancora in sospeso.
Ripescando nella memoria il consiglio di un vecchio e saggio sultano degli Emirati Arabi, andò a prendere un kettle e lo attaccò alla presa. Mentre la resistenza elettrica si surriscaldava, quella ovina cedette al freddo della nudità: dietro lo schermo di un cespuglio Sergeja si spogliò del suo tanga-twin (dual band per far uscire la coda e vibrare su più frequenze…) e ne fece dono al suo promesso, che lo brandì come un vessillo.
Infine, quando l’acqua raggiunse i 100 gradi, l’acaro, mosso da cavalleresca galanteria, immerse la manina nera e pelosa nel bollitore rischiando di affondarvi completamente dentro e, tiratene fuori le mutande della sua bella, gliele porse tanto languidamente che lei non poté esimersi dall’esclamare, rapita:
“Oh, beh Blair…”
(Ma sì, eccetto illa…).
Il Traspiratore – Numero 25-26
di Simona Margarino