SVET
Marzo 12, 2008 in Spettacoli da Gabriella Grea
Nikolaj Ivanovic Saryncev è anziano, cerca di applicare alla lettera i precetti evangelici, scoperti
in tarda età, respinge le opinioni comuni, rifiuta la sua vita precedente, tenta di vivere
altrimenti suscitando l’esasperazione dei suoi familiari, assolutamente incapaci di comprenderlo
e di assecondarlo.
La luce di Giovanni come antidoto al potere della tenebrosa estrema miseria della massa
contadina russa.
L’anziano scrittore russo al tramonto della sua vita denuncia in questo amaro dramma la
debolezza delle sue posizioni, l’incapacità del tolstojanesimo di modificare la società russa.
“Che cosa dobbiamo fare? In che cosa consiste la mia fede? Il Regno di Dio è dentro di noi”,
l’ecumenismo di Saryncev si mantiene su un piano moralistico-individuale, manca di
socializzazione , pertanto fallisce, non approda a nulla.
Eppure, ulteriore sconfitta della dottrina tolstojana, i suoi discepoli periscono, anche chi tenta di
tradurre il pensiero in azione rimane travolto dall’irriducibile realtà. Il principe Boris, giovane,
entusiasta, onesto e giusto rifiuta gli ingranaggi della burocrazia zarista, rifiuta la carriera
militare, morirà in carcere per le percosse della polizia, ma del resto” gli stessi poliziotti si
rendono conto che Boris non è pericoloso”, lo uccidono ugualmente. Il principe è l’alter ego
letterario del maestro elementare E.N. Drozzin, tolstojano, incarcerato dopo un lungo periodo
nel battaglione disciplina, ferocemente picchiato sino alla morte.
Emerge il tormento dell’autore al pensiero dei suoi molti proseliti imprigionati, picchiati e
torturati, mentre la polizia zarista lo lasciava spettatore incolume. Negli appunti ritrovati a
concludere il dramma la madre del principe Boris uccide l’anziano latifondista, che muore
denunciando la sua debolezza, “Non ho saputo far nulla, ho ucciso Borja. Forse Dio non vuole
che io sia il suo servitore. Sono un debole.”
Tolstoj non morirà di morte violenta, si spegne il 7 novembre 1910 dopo una breve e gravissima
malattia. Muore solo, solo con il se stesso da cui ha cercato di fuggire sino all’ultimo, con
l’illusione di liberarsi da un’esistenza disperatamente tesa alla conquista della verità e della
sincerità assoluta, di quella luce che non può brillare altrove che nella disperata solitudine.
Il testo è stato pubblicato postumo a Berlino nel 1912, privo della conclusione dell’ultimo atto.
La scena conclusiva è stata scritta per questa rappresentazione dal traduttore Danilo Macrì e dal
regista Marco Sciaccaluga sulla base degli appunti lasciati dallo scrittore. Non è mai stato
rappresentato né in Italia né nell’Europa occidentale.
SVET di Lev Tolstoj
E la luce splende nelle tenebre (Vangelo sec. Giovanni)
con Vittorio Franceschi
Regia Marco Sciaccaluga
Traduzione Danilo Macrì
Scenografia Jean-Marc Stehlé
Costumi Catherine Rankl
Luci Sandro Sussi
Musiche Originali Andrea Nicolini
Fondazione Teatro Stabile di Genova
Stagione Fondazione TST
Teatro Grande Valdocco
Da martedì 11 marzo a domenica 16 marzo
Feriali 20:45
Domenica 15:30
di Gabriella Grea