Syriana
Marzo 29, 2006 in Cinema da Barbara Novarese
Un nome in codice.. la politica estera statunitense per soggetto… cinque lingue e 200 locations; dal libro di Robert Baer
Nazione: U.S.A.
Anno: 2005
Genere: Thriller
Durata: 127′
Regia: Stephen Gaghan
Attori: George Clooney (Bob Barnes), Matt Damon (Bryan Woodman), Amanda Peet (Julie Woodman), David Clennon (Donald Farrish), Max Minghella (Robby Baer)
Soggetto: Robert Baer, Stephen Gaghan
Sceneggiatura: Stephen Gaghan
Fotografia: Robert Elswit
Distribuito da: Warner Bros. Italia (2006)
Prodotto da: George Clooney, Steven Soderbergh, Michael Nozik, Jeff Skoll per Warner Bros., Section Eight Ltd., Participant Productions
Un film con oltre 200 location, ambientato tra il Golfo Persico, Washington, Teheran e Ginevra, parlato in cinque lingue e avente come argomento la politica estera statunitense…
Syriana è il nome in codice con cui gli ufficiali americani indicano la zona medio-orientale, reinventata secondo i canoni dell’amministrazione USA. Questo nuovo modello non è reale, ma esiste concretamente negli obiettivi della politica americana che tende ad immaginare quell’area del mondo entro i confini nazionali.
Basato sul libro “See No Evil: The True Story of a Ground Soldier in the CIA’s War on Terrorism” di Robert Baer (come indica la fascetta sulla locandina), il film risulta molto complesso, ma come avrebbe potuto non esserlo, considerando la complicata realtà che rappresenta?
«La corruzione accusa… la corruzione? La corruzione è l’intrusione del governo con le sue regole nei rendimenti del mercato. Questo dice Milton Friedman. Ha avuto un dannato Premio Nobel. Abbiamo leggi contro tutto questo, proprio per potercene liberare. La corruzione è la nostra protezione. La corruzione ci tiene al sicuro e al caldo. La corruzione è la ragione per cui io e te andiamo in giro dandoci delle arie, invece di batterci nelle strade per degli avanzi di carne. La corruzione…è la ragione della nostra vittoria» Il concetto, ben spiegato da queste parole di Gaghan, riassume l’essenza dello strato dominante nella società che ogni popolo rappresenta; una realtà triste, tuttavia inevitabile, che si districa abilmente tra intrighi e giochi di potere per il controllo sull’oro nero. L’industria petrolifera è la stella intorno a cui orbitano i principali interpreti del film; diversi uomini coinvolti in sezioni distinte di un solo puzzle che possiede come elementi di condivisione morte, sofferenza e tanta solitudine.
La pellicola scorre velocissima alternando il focus sui diversi personaggi e richiede allo spettatore particolare concentrazione per comprendere il corso degli eventi. E’ essenziale, ma sufficientemente profonda; non annoia con futili “riempi spazio” eppure risulta carica d’informazioni e messaggi. Vive di rumori, silenzi, sguardi e azioni. Vive di rassegnazione, dolore e lacrime. Tra le dune del deserto ed i grattacieli, tra lo sfarzo e la povertà, tra la morte e la vita, tra la crudeltà e la religione si rafforza la triste consapevolezza dell’impossibilità di cambiare le cose.
E’ Bob a compiere l’ultimo disperato tentativo di dimostrare che c’è luce oltre le tenebre, ma fallisce. Con lui, va in frantumi l’atavica speranza di una vittoria del bene sul male e ci si ritrova, al termine del film, con l’amaro gusto della sconfitta e della triste conferma che “nulla è come appare”.
Una parte della critica afferma che il film abbia messo in scena la “solita polemica contro l’amministrazione americana” ma, forse, chi l’ha detto non ha osservato con attenzione il procedere di quella scomoda verità che siamo abituati a stereotipare e catalogare proprio come “polemica” per giustificare la nostra coscienza. La pellicola non tenta di dare risposte, non ha la presunzione di primeggiare né la velleità di stupire. Non ha attori protagonisti e non forza lo spettatore a scegliere tra due schieramenti, Syriana mostra il mondo attraverso le spoglie di un thriller politico.
L’eccezionale interpretazione di George Clooney non può essere misurata secondo i normali canoni dell’Oscar ma con l’intenso sguardo dei suoi occhi; occhi stanchi, specchio dell’anima di Bob Baer, tradito dalla sua stessa agenzia a cui, fino al quel momento, ha dedicato la maggiorparte della sua vita. Si scoprono le sue ottime competenze d’attore nell’andatura del camminare, nelle parole che vorrebbe pronunciare a suo figlio, ma non ci riesce e nell’accettazione della sua fine.
Non potrete dimenticare Bob con la maglietta bianca stretta tra le mani, sospeso eternamente in una disperata speranza che quell’istante non sia reale. Né vi scorderete i volti dei due giovani Kamikaze che mai riuscirete a giudicare.
Bravissimo Stephen Gaghan.
Un film da vedere e, forse, da rivedere.
di Barbara Novarese