Terzo giorno | Sudate Carte Racconti I edizione
Dicembre 27, 2002 in Sudate Carte da Redazione
Falcate lunghe e veloci.
Una corsa disperata.
Tommy sentiva l’attaccaticcio della maglietta fradicia sulla schiena.
Nella frenesia della corsa una mano a cercare disperatamente di calare la sciarpa da sopra il viso, che con quella ad ostacolargli la respirazione non ce la faceva proprio ad andare avanti.
E poi c’era quella percezione senza sapore del tessuto umido in bocca, come quando da bambino succhiava la sciarpa di lana, perché gli sembrava di riuscire a percepire il gusto della propria saliva, ma che ora gli dava il vomito con tutti quei peli sulla lingua e il salato del suo stesso sudore.
Già, quando era bambino e giocava a “guardie e ladri”, tanto se ti prendevano potevi lo stesso tornare a casa per cena.
L’omino blu che lo inseguiva avrebbe avuto qualcosa in contrario sul fatto che potesse cenare a casa, almeno per qualche mese.
Era l’ultimo giorno della Manifestazione contro il Grande Vertice, quello dove i Potenti si riunivano per decidere il destino di chi potente non lo era e non lo sarebbe mai stato, storia millenaria sempre diversa e sempre uguale.
Insieme ai Potenti si radunava anche la Gente che Spera, giovani e meno giovani che inseguivano il sogno di scrivere se non una storia, quantomeno un racconto diverso.
Non avrebbe voluto vederlo lì suo padre, con il suo lavoro non gli aveva mai fatto mancare niente e scendendo in piazza non avrebbe ottenuto nulla di più di quanto gli avesse già dato lui.
Un tempo con le manifestazioni si lottava per i propri diritti, per ottenere qualcosa di buono per sé, adesso sembrava che la tendenza fosse cambiata, nei Paesi che avevano già ottenuto tutto la Gente che Spera si batteva per i diritti di altri, li chiamavano ideali.
Ma degli ideali a lui non poteva fregare di meno, perché lì c’era andato per far parte del Blocco, di quelli che avrebbero spaccato tutto senza ottenere niente, di quelli che avevano capito che manifestare non serviva, o, forse, non avevano capito niente di niente, ma si accontentavano di andare a fare casino.
Notti intere passate su internet, a chattare con mezza Europa, studiando cartine e strategie di guerriglia, rivedendo come si erano mossi gli Omini blu in situazioni analoghe, pianificando luoghi ed ore, facendo le squadre, quasi si andasse a giocare a “guardie e ladri”.
Perché?
Non tutti lo sapevano, chi perché idealista, chi perché estremista, chi perché fanatico di guerra, chi per noia, chi per divertimento.
Lo si sente dire a tanti ragazzi oggigiorno: <
Lui non sapeva perché era andato, forse per giocare a rincorrersi con l’omino blu, per sentire il sudore sgorgare e scorrere sul suo corpo, per non capire se era il sole di Luglio o l’adrenalina che lo faceva bruciare, per stupirsi di quanto forte riusciva a correre e di quanta aria gli regalavano i suoi polmoni.
Era il terzo giorno, fino ad allora era stato il caos.
Apparivano e sparivano, loro del Blocco, partivano con i cortei della Gente che Spera, si separavano ed iniziavano a spaccare, infrangere e demolire, poi suonava un cellulare.
Chi seguiva gli Omini blu avvertiva che era meglio togliersi dal cazzo, che c’era un corteo pacifico a poche centinaia di metri.
Loro scappavano e si infilavano tra i manifestanti, mentre squillava un altro cellulare, dalla parte opposta della Città a dare il via libera ad un altro gruppo.
E gli Omini blu a correre qua e là senza prendere nessuno.
Ma adesso era il terzo giorno, l’avevano capita, gli erano piombati addosso all’improvviso, molti senza divisa, i più con l’uniforme stampata nella testa.
Come quello che aveva dietro.
Non lo pagavano mica abbastanza per correre in quel modo, per rischiare che lui stesse per raggiungere un gruppo di amici, per andare a fare la fine del topo.
Pensava Tommy, perché a lui piaceva fare due cose allo stesso tempo.
Era il caso di fermarsi?Cosa avrebbe potuto fargli?
Due cartoni ben dati non glieli toglieva nessuno, ma poi?
Di casini ne avevano fatti, ma non potevano imputarli tutti a lui…
No, tutti a lui no… a lui e ai pochi che avrebbero preso.
Meglio continuare a correre.
Anche perché a casa chi glielo spiegava che non era al mare da Ciccio?
Perché di dire a casa che andava a manifestare non ne aveva avuto il coraggio.
Senza contare che “manifestare”, come verbo, non calzava molto con quello che era andato a fare lui.
Correva, pensava e intanto i suoi occhi si muovevano frenetici in ogni direzione, vicino e lontano.
Vicino a vedere di non inciampare, lontano a cercare una via di fuga, a programmare la prossima svolta, che non c’era proprio il tempo di pensare se entrare o meno nel vicolo quando quello sarebbe stato ormai a pochi passi.
L’angolo del muro si avvicina e lui protende la mano, lo arpiona con le unghie per usarlo da perno, per schizzare via più veloce.
Entra forte nel vicolo, la polvere dell’intonaco attaccata alla palmo umido della sinistra, ma ha guadagnato solo un paio di metri.
Lo sente, è a sei o sette metri, ma sente il suo fiato sul collo.
Suda, l’aria è a più di venticinque gradi, ma lui la sente fresca sulla faccia e sul resto del corpo, i vestiti sono ormai un tutt’uno con la sua pelle.
Ma cosa voleva quel cazzo di omino blu?
Non gli avrebbero dato né una medaglia né un aumento e a quel punto prenderlo o no sarebbe stato ininfluente per la sicurezza della Città.
Forse era orgoglioso, si era lanciato all’inseguimento e non voleva desistere, forse aveva capito che se avesse voluto mollare avrebbe dovuto farlo subito.
Ormai doveva correre, era di quelli a cui non piace perdere tempo, ma non riescono mai ad organizzarsi in quel senso.
Tommy non si era voltato neanche una volta.
Il vicolo stava per finire, destra o sinistra.
Destra.
Per un secondo il sole abbaglia Tommy, poi torna la vista.
Una pozzanghera.
Già, una dannata, scivolosissima pozzanghera.
Qualche idiota aveva rotto un idrante, c’era gente strana in giro…
Cerca di rallentare Tommy, la gomma delle scarpe scivola, ma lui si protende.
I riflessi non lo hanno tradito, a poche decine di centimetri c’è un lampione.
Si, un lampione, che nessun idiota aveva abbattuto, e la sua mano lo afferra, il suo bicipite si contrae.
Nel pieno del movimento vede un ombra, la intravede, ma la fotografa…non lo credeva così vicino, aveva recuperato nel vicolo, ma ora sul suo volto c’era un espressione incerta, precaria.
L’omino blu, colto in fallo dalla pozzanghera, scivola più rovinosamente di lui, ma si protende alla stessa maniera… non cerca il lampione, cerca Tommy.
Tommy lo sente aggrapparsi alla maglietta, sente sul braccio il peso di entrambi, non ce la fa…
Ma è un istante, meno di un secondo…
SSSTRAAK!!!
La maglietta si strappa, le gocce di sudore sprizzano dalla sua schiena sul viso dell’inseguitore, su quel volto bagnato e arrossato, digrignato neanche fosse un cane da guardia, neanche fosse per una questione personale.
Va giù l’omino blu, rotola, scivola via, picchia brutalmente il fianco e il braccio destro sull’asfalto.
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Corre, vola.
Non ha più nessuno dietro, ma non si ferma.
Esce dalla Zona Gialla, ora corre in mezzo alla gente comune.
Sono passati dieci minuti da quando si è aggrappato al lampione e corre ancora.
Non schiva i passanti, sono i passanti a schivare lui, sporco e sudato, probabilmente puzzolente, nonché con i vestiti strappati.
Ora entra in un vicolo, si ferma.
Appoggiato al muro, prova ad asciugarsi la fronte con una mano, ma è fradicia anche quella.
La maglietta verrebbe bene si e no come straccio, ma in quel momento non ci si può proprio asciugare niente.
Chissà quanto sudore era uscito per la corsa, quanto per la paura e quanto nell’istante in cui aveva l’inseguitore attaccato alla schiena.
Chissà quanto sudore sarebbe uscito anche se fosse andato a
l mare da Ciccio.
Faceva caldo sulle spiagge a quella stagione.
Squilla il cellulare.
E’ la mamma, meglio lasciare suonare un po’.
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Andata.
Squilla di nuovo.
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E via, corsa leggera, il sole sul torso nudo ad asciugare il sudore.
Era il terzo giorno, l’ultimo, non poteva certo arrendersi per una maglietta strappata.
di Luca Ghio