Tra mito e leggenda
Giugno 30, 2003 in Medley da Sonia Gallesio
Su Amedeo Modigliani è stato detto e scritto di tutto. La sua vita ed il suo percorso professionale sono stati oggetto di innumerevoli fantasticherie e cliché, aneddoti e racconti che oggi potrebbero essere considerati alla stregua delle nostre ‘leggende metropolitane’. Molti ne avranno sentito parlare come dell’artista bohémien per antonomasia: alcool, droghe, donne e guai. Un cocktail esplosivo consumato nella Parigi di inizio secolo, tra i quartieri di Montmatre e Montparnasse.
Modigliani fu un uomo di grande cultura, questo è indubbio. Lesse avidamente le opere di Mallarmé, Baudelaire, Rimbaud, Nietzsche, D’Annunzio (“Aveva sempre in tasca un libro, Maldoror, di Lautréamont”, Béatrice Hastings).
La madre prima di ogni altro, e poi gli amici, i mercanti d’arte, le donne che lo amarono, con le loro narrazioni contribuirono non poco a crearne il mito postumo, nonché ad alimentare la sua fama di ‘autore maledetto’.
Piuttosto che sulle presunte sregolatezze di Modì, tuttavia, sarebbe bene soffermarsi esclusivamente sulle sue straordinarie doti espressive, peculiarità che hanno fatto sì che egli venisse riconosciuto quale uno dei più illustri maestri europei del secolo trascorso.
Modigliani nacque a Livorno, in una famiglia borghese, il 12 luglio 1884. Intraprese gli studi artistici a quattordici anni appena, presso l’accademia della sua città natale. Per ragioni di salute visse temporaneamente a Napoli, Capri, Roma. Antecedenti rispetto al suo approdo a Parigi, furono significativi per la sua formazione anche i soggiorni a Firenze e Venezia.
Nel 1906 si trasferì nella fervida Ville Lumière, città incantatrice e capitale indiscussa della pittura d’avanguardia. Quegli anni parigini, fatalmente prossimi allo scoppio del Primo Conflitto Mondiale, furono oltremodo ricchi di impulsi utili all’evoluzione dell’arte e della cultura europee.
Habitué di café, teatri e sale da ballo, a Montmatre vivevano le maggiori personalità del periodo, da Picasso a Derain, da Matisse a Toulouse-Lautrec. Con le loro opere selvagge e vibranti, i Fauves avevano appena conquistato il Salone d’Autunno (1905), e gli addetti ai lavori erano costantemente in cerca di nuovi talenti. Ebbene, fu in quel brulicante e singolare humus che attecchì e germogliò l’estro di Modigliani – che a Parigi (escluso il periodo in cui si rifugiò in Costa Azzurra) trascorse gli ultimi 14 anni della sua vita.
Sebbene Modì ottenne il dovuto riconoscimento solo dopo la sua scomparsa, per la sua carriera si rivelarono di fondamentale importanza gli incontri e le collaborazioni con tre differenti personaggi: il medico e mecenate Paul Alexandre (1907), l’ambizioso collezionista e commerciante d’arte Paul Guillaume (1914), il poeta e mercante Léopold Zborowski (1916).
Ma anche la conoscenza e lo scambio professionale con il celebre Costantin Brancusi furono determinanti, basti pensare all’evidente influenza che i capolavori del maestro rumeno ebbero sulla sua produzione scultorea.
Trascorsa – o almeno così pare – tra notti brave, stenti e svariati problemi di salute, la vita di Amedeo Modigliani fu breve ma intensa e feconda. L’artista morì trentacinquenne di tubercolosi, nel 1920. Nello stesso anno fu organizzata la sua prima retrospettiva presso la Galerie Montaigne, esposizione che idealmente ne suggellò l’esistenza travagliata eppure impagabile, interamente dedicata all’arte…
Modì a Milano
I ritratti e i nudi
Gli esordi e la scultura
di Sonia Gallesio