TraspiCampiello04

Settembre 6, 2004 in Libri da Stefano Mola

Titolo: Una barca nel bosco
Autore: Paola Mastrocola
Casa editrice: Guanda
Prezzo: € 14.50
Pagine: 257

Una barca nel boscoGaspare Torrente, il protagonista di questo libro, terzo romanzo di Paola Mastrocola, viene a Torino da un’isola del sud Italia per frequentare il liceo. È un ragazzo molto dotato. Sotto la guida di un’insegnante di francese ha già iniziato a studiare il latino, tanto da essere in grado di leggere Orazio. Il padre è pescatore, la madre casalinga, a Torino abita la zia Elsa, rimasta vedova. Siccome dicono tutti che le scuole al nord sono più buone e a quel punto tanto vale: se fai i sacrifici, falli che merita, dice sempre mia madre [pag. 20] e poi non si deve pagare l’affitto ma solo la metà delle spese. Così Gaspare e la madre si installano nel quartiere di Santa Rita.

La famiglia è povera, ma di salda impostazione morale: le cose devono essere conquistate con i sacrifici, questo è quanto Gaspare ha imparato. L’impatto con la scuola è molto duro, ma non nel modo in cui il ragazzo se lo sarebbe aspettato. Per esempio, i primi giorni non si impara nulla, si fa accoglienza. Così non viene paura della scuola, che sembrerà un bicchier d’acqua: io mi ero immaginato che era bello tosto il liceo, non un bicchier d’acqua che, se era solo per quello, me lo potevo bere tranquillamente a casa mia senza farmi questo migliaio di chilometri che mi sono fatto per venire qui [pag. 13]

Non è volontà di competizione: semplicemente, desiderio di apprendere. Imparare, è invece l’ultima preoccupazione non solo degli studenti, ma anche dei docenti: impallidiscono quando ad esempio Gaspare chiede di fare una versione, oppure quando scoprono che sa già leggere il francese. I compagni sono per lui una popolazione incomprensibile, suddivisa in tribù caratterizzate da precisi codici di abbigliamento e linguaggio che gli sono totalmente estranei. Senza contare le differenze di disponibilità economica. Inizia così un percorso tragicomico di scoperta, alla ricerca della chiave per aprire la porta del branco. Prendere sempre 10 di latino, così come gli succede all’inizio, non lo aiuta. Sarà necessario sforzarsi di abbassare i voti, oppure passare i compiti? Sarà sufficiente comprare un paio di Nike bianche oppure avere una mitica cintura di pesce? E la madre, che per arrotondare aprirà una gastronomia, potrà capire i tormenti del figlio? E il silenzioso padre pescatore rimasto sull’isola?

Precisiamo subito che non ci troviamo di fronte a un finto romanzo che sotto la copertina nasconde pseudostudi sociologici, oppure sterili raccolte di luoghi comuni sugli oscuri tempi della scuola e della società. La scrittura della Mastrocola è leggera, con venature ironiche e grottesche, anche se forse le tracce di malinconia sono più visibili rispetto a La gallina volante, suo brillantissimo esordio. Allo stesso tempo, ed è qui il pregio, questo mi sembra un libro molto importante. Pone delle domande pesanti in modo leggero. È un atto di accusa alla scuola, soprattutto quella media superiore. Con un malinconico sorriso ci troviamo ad osservare un appiattimento in cui niente deve essere difficile, in cui l’unica cosa che alla fine conta e che fa la differenza è il conto in banca della famiglia alle spalle, che impedisce di valorizzare chi veramente ha talento, facendolo assurdamente sentire in colpa, annegando la possibilità che le doti individuali siano un biglietto per qualcosa di più.

La storia di Gaspare non si ferma al Liceo: la Mastrocola ci conduce per mano fino agli anni dell’università e oltre. Ma non vogliamo togliere il piacere della trama. Perché anche qui, come già in La gallina volante, c’è uno scatto di originalissima invenzione dell’autrice, originalità per nulla fine a se stessa. Nel suo primo romanzo, il tocco era dato dalla assurda volontà della protagonista di insegnare a volare alle galline. Per Gaspare sarà la passione, nata per caso, per gli alberi. Peccato che continuerà a coltivarli nel suo appartamento.

Proprio una riflessione che Gaspare farà verso la fine del libro, è la più efficace sintesi del significato del romanzo: Il fatto è che quando pianti un albero devi pensare a come diventerà: devi vedere il suo futuro, prevederlo. Fargli posto per quando sarà grande. Se no, troppo comodo: tu ti metti attorno tutti gli alberi che vuoi e poi quando sono cresciuti che non ti stanno più in casa, cosa ne fai, li butti? Bisogna farcene carico, del futuro di chi ci sta intorno. Non è che puoi fartene due baffi, amici come prima e tanti saluti. [pag. 222]

Gli alberi di Gaspare sono una metafora della società. Così come può sembrare assurdo far crescere degli alberi in un appartamento nel centro di Torino, modificando pavimento pareti mobilio per assicurare che prendano aria e acqua a sufficienza, allo stesso modo può sembrare assurda una società che non si fa carico in maniera adeguata non solo dell’educazione ma anche degli approdi possibili alla fine del viaggio negli studi.

di Stefano Mola