TraspiCampiello05
Settembre 6, 2004 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | La doppia vita di Vermeer |
Autore: | Luigi Guarnieri |
Casa editrice: | Mondadori |
Prezzo: | € 14.50 |
Pagine: | 257 |
Questo libro racconta la storia di vera di Han van Meergeren. Nato in Olanda nel 1889, fin da piccolo mostra un grande talento per il disegno, osteggiato dal padre. Riesce comunque a diventare un pittore, assai anomalo: nel secolo delle avanguardie dipinge soggetti estremamente tradizionali, quasi ispirati ai grandi maestri della pittura olandese. Per nulla considerato dai critici, con cui anzi spesso si scontra, sembra destinato a vivacchiare come ritrattista o esecutore di quadri d’occasione, macerandosi in una sempre maggiore ostilità verso un mondo che non è in grado di riconoscere i suoi meriti.
Finché, quasi per caso, inizia a produrre dei falsi, e concepisce una grandiosa vendetta: produrre dei falsi Vermeer. Il percorso di Vermeer presenta qualche similitudine con quello di van Meergeren (che Guarnieri nel libro indica con VM, a sottolineare ancor più la parentela tra i due personaggi). Vermeer produsse pochi quadri, e anch’egli fu assai poco considerato in vita. Solo dopo il 1860, quasi due secoli dopo la sua morte, sarebbe stato consacrato come un maestro assoluto. Falsificando l’opera di chi aveva dovuto subire l’indifferenza, e di cui si speravano ancora di trovare altri quadri, VM poteva così portare a compimento la sua vendetta. Soprattutto, i falsi sarebbero stati autenticati dagli stessi critici che avevano posto in testa a VM una corona di mediocrità.
E se una delle tele contraffatte, Cristo e l’adultera, non fosse stata ritrovata nel 1945 tra i gioielli della collezione privata di Hermann Goering, maresciallo del Reich nazista, i falsi Vermeer sarebbero tuttora esposti come veri in quei musei olandesi che spesero una fortuna per assicurarseli. Quando però fu accusato di alto tradimento per aver venduto un Vermeer al nazista Goering, VM dimostrò di esserne l’autore, in un processo che coinvolse tutto il mondo del collezionismo, dell’antiquariato e del mercato dell’arte, con i critica chiamati a deporre in testimonianze doppie e confuse.
La storia sembra incredibile e conferma ancora una volta la straordinaria varietà dell’umanità. Una volta letta, viene da dirsi che sarebbe stata un’idea grandissima inventarla. C’è un intreccio fantastico tra un pittore del seicento, un pittore contemporaneo dotato di talento ma emarginato dai critici e un criminale della seconda guerra mondiale. Vale la pena di essere letta come storia, anche se fin dall’inizio sappiamo come va a finire. Ma il bello qui sta nello scoprire come VM sia arrivato produrre opere capaci di ingannare critici stimatissimi, in che modo e con quali motivazioni. Se il modo è oggettivo, basati su fatti e testimonianze, le motivazioni le dobbiamo alla ricostruzione di Guarnieri.
Occorre rendere merito all’autore calabrese di una scrittura lucidissima, precisa, che non lascia mai calare la tensione della scoperta, che ricostruisce pensieri ed emozioni di VM in un modo che sembra assai verosimile. Ma non solo Guarnieri riesce a raccontare delle storie (quella di Vermeer, quella del suo imitatore Han van Meergeren, quella della passione di Proust per Vermeer, quella di Goering). Si dimostra anche acuto nell’analisi della pittura di Vermeer. Il brano che citiamo di seguito è solo una delle dimostrazioni, ma è forse quello che riesce da un lato a rendere più compiutamente conto della sua capacità di definire in poche frasi qualcosa di estremamente indefinibile: quello che sta dietro l’emozione provocata da un’opera d’arte:
La Donna in azzurro è uno dei dipinti che meglio ci comunicano il segreto dell’arte di Vermeer. Un segreto che chi ama i suoi quadri riesce in qualche modo a intuire, ma mai a comprendere veramente. Per questo il misterioso Vermeer rivive ogni giorno. Più di due secoli dopo la sua morte, Vermeer ci tocca e ci commuove così tanto perché – forse – le sue tele evocano il rimpianto, l’amore impossibile, la solitudine. Perché le sue figure enigmatiche e silenziose sono immagini oniriche della bellezza, della passione, dell’eternità – quello che tutti, confusamente e inconsciamente, cercano senza poter mai trovare [pag. 101]
Il libro non ci parla soltanto dell’emozione estetica, ma anche del suo ambiguo rovescio. Quanto è pura e libera? Siamo veramente toccati, oppure a volte ci portiamo dietro qualcosa di precotto, che riscaldiamo al tepore del nome famoso? Essere informati che il dipinto davanti a noi è un Vermeer, non ci mette già sotto la lingua la pasticca capolavoro? È impossibile misurare l’arte, e a volte questa parola è ostaggio, monopolio di minoranze che ne attaccano l’adesivo qui e là. Se dovessimo provare dire cos’è l’emozione artistica pura, suggeriremmo di andare a leggere le parti relative a Proust. Insomma, se un libro offre una storia straordinaria, la racconta bene e apre svariate porte di riflessione, che cosa possiamo volere di più?
di Stefano Mola