Trattato di Ateologia
Marzo 19, 2006 in Libri da Redazione
Titolo: | Trattato di ateologia |
Autore: | Michel Onfray |
Casa editrice: | Fazi Editore |
Prezzo: | € 14,00 |
Pagine: | 224 |
Cominciamo dal titolo di questo volume: la parola ateologia permette una duplice interpretazione in quanto può essere intesa sia come a-teologia (quindi come negazione e confutazione della teologia e di conseguenza, in un’accezione più ampia, dei culti religiosi), sia come ateo-logia (quindi come dottrina e prassi dell’ateismo). Probabilmente fu proprio questa ambiguità che spinse Giorgio Caproni a mutuare il termine da Georges Bataille, per farne un tema portante delle sue ultime raccolte poetiche, e proprio un verso caproniano potrebbe a sua volta servire come premessa al libro di Onfray: «Dio non c’è ma non si vede». Infatti, nel Trattato di ateologia, delle due interpretazioni possibili del termine prevale il primo, prevale cioè la pars destruens, la descrizione di quelli che, secondo l’autore, sarebbero gli effetti deprecabili dei tre grandi monoteismi, delle tre grandi religioni che sono ancora ben vive nel terzo millennio: che dio non ci sia, parafrasando Caproni, data la grande diffusione nel vivere sociale di comportamenti legati al cristianesimo o all’islamismo, proprio è difficile notarlo.
Il conflitto che Onfray illustra, a ben vedere, sembra delinearsi non solo come una contrapposizione tra irrazionalità imperante e razionalità negata, ma anche come contrapposizione delle ragioni della morte alle ragioni della vita (questa seconda dicotomia sembra anzi essere davvero l’asse portante dell’argomentazione). Il vero bersaglio del libro, quindi, è proprio questo, il gusto della morte: dai roghi di libri (tra i tanti: la distruzione della biblioteca di Alessandria nel 391) alle donne impiccate perché accusate di adulterio, dall’invenzione ebraica della guerra santa (espressione «terrificante e ipermoderna» contenuta nel libro di Giosuè) all’antisemitismo cristiano (con il colpevole silenzio della Chiesa ai tempi delle leggi di Norimberga nel 1935 e durante la Notte dei Cristalli nel 1938), dalla devastazione delle civiltà indo-americane dopo il 1492 al recente genocidio dei Tutsi da parte degli Hutu nel Ruanda, coperto dalle istituzioni cattoliche del posto. Anche se si può non a torto obbiettare che la cultura della morte non sia frutto soltanto delle grandi religioni, il quadro resta davvero desolante.
di Claudia Bussolino