Trifulas, Pulenta e Coccas
Luglio 23, 2001 in Libri da Gustare da Stefano Mola
Carla Parsani Motti, Cesie Griva Rinaldi, Maria Angela Leotardi Cervetti: “Trifulas, Pulenta e Coccas”, Neos Edizioni, pag 93, Lire 24.000
Se pensiamo alle parole come agli ingredienti, allora la grammatica diventa un ricettario: regole con cui legare gli ingredienti, il loro ordine, gli accostamenti (il soggetto un antipasto? allora il verbo è il primo? il complemento oggetto, un contorno? pensiamo alle frasi pantagrueliche di un Saramago, bulimia di parole con poca punteggiatura, la dieta in bianco delle frasi secche di un Hemingway…).
Ma lasciamoci portare da questa suggestione. Perché la grammatica è la struttura di un pensiero (quante volte ci hanno detto che il Latino aiuta a pensare?), e la nostra grammatica è (sicuramente) molto diversa da quella di un tedesco (verbo sempre in seconda posizione, vorfeld eccetera), così come le nostre ricette sono (per fortuna, qui il mio nazionalismo è totale) diverse da quelle di un tedesco. E se le parole che uso dicono qualcosa della mia storia, della mia cultura, del mio territorio (in modo unico: pensiamo alle sottili intraducibili sfumature del piemontese “genarsi”) allo stesso modo guardando in un piatto lucano si vedono delle cose diverse da quelle che potrei trovare in un piatto veneto, per dire.
Un ricettario dunque è la grammatica culinaria di un popolo e lo distingue allo stesso modo in cui può farlo la lingua, raccontando qualcosa della sua storia (pensiamo a cosa vuol dire ritrovare nel tedesco la struttura tipicamente latina di nominativo – accusativo – dativo – genitivo). Un ricettario, così come una lingua, è dunque una visione sul mondo. E se qualcuno non si prende la briga di scrivere la grammatica di una lingua, questa si perderà per sempre, quando tutte le persone che l’hanno parlata saranno scomparse (e non vorremmo mica perdere delle ricette, significherebbe perdere anche l’uso di certi ingredienti, che non verranno più coltivati da nessuno, perché nessuno ne conoscerà la prelibatezza, da qui l’importanza dei presidi di Slow Food e dell’operazione Arca del gusto).
La recensione potrebbe finire qui (ma non è neanche iniziata! strilla qualcuno in fondo). Perché “Trifulas, pulenta e coccas” (ovvero, “Patate, polenta e castagne”) è il ricettario della Val Grande. Il titolo stesso ci racconta molto: patate, polenta e castagne in fondo dicono una cosa sola: povertà (ricordiamo quanto avevamo letto in “A tavola con gli zar”, nei tempi bui dell’impero sovietico Gulnara Suleimanova raccoglie 1113 modi diversi di cucinare la patate), di una cucina di gente di montagna, fatta per saziare, per non sprecare nulla. Non solo, compie una doppia operazione, convergente: scrivendo questa grammatica del cibo locale, lo fa utilizzando anche la lingua locale, il franco-provenzale (e quindi è giustissimo dire che qui si parla come si mangia…).
Corredano riccamente il volume una serie di quadri e incisioni di artisti (Aimo, Albertone, Brero, Caprioglio, Caravella, Guasco, Laterza, Lobalzo, Monaco, Nalli, Motti, Perugia, Porporato, Prochet, Prosio, Rocco, Saccomandi, Spessot, Miniotti), un censimento dei ristoranti locali, un indirizzario, un dizionarietto.
di Stefano Mola