Tutto è lì dove deve essere
Settembre 8, 2002 in Racconti da Redazione
Tutto è lì dove deve essere, tutto è lì dove è rimasto per anni e dove la gente intorno a me ha creduto che io volessi le mie cose.
Chissà se oseranno spostarle.
Ora le osservo, dalla mia posizione centrale della stanza, osservo cose e persone.
Gli oggetti sempre immobili, la gente si muove intorno.
Non le muove perché ha paura di offendere i ricordi di un povero vecchio, legge nel mio sguardo fermezza, autoritarietà, saggezza, testardaggine.
Ma il mio sguardo è solo più osservatore.
Osservo ciò che lascio con indicibile freddezza e lucidità.
Guardo e non giudico e mi sorprendo a provare queste nuove sensazioni negli ultimi momenti della mia lunga vita ormai giunta al termine.
Guardo e non giudico perché non ho più niente da giudicare, ho già messo tutti i puntini su tutte le “i” possibili, ho già raccontato fino all’esasperazione ciò che avrei potuto raccontare. Non ho fatto tutto ciò che avrei potuto fare ma non ha importanza. Non giudico più. Né quello che vedo né quello che sono.
Sara si ferma un attimo e si siede sul letto, mi chiede con la sua aria dolce di cos’altro ho bisogno, fame-sete-comodo-scomodo-luce-ombra-caldo-freddo. (bello!)
Io faccio no con la testa e ringrazio. Non ho bisogno di niente io, io sono l’unico qui dentro che non ha bisogno di niente, perché affannarsi tanto dietro una speranza, perché rendere leggermente migliori questi ultime ore?
Gli anni mi scorrono addosso e di colpo non ho più ricordi, non ricordo più nulla. Mi sembra incredibile concepire l’idea di aver avuto un passato. Eppure tutto ciò che vedo è lì a testimoniarlo: il piccolo Davide che mangia la sua pasta al sugo e guarda i cartoni animati di là, foto, Sara che va avanti e indietro per “mettere a posto”.
Ma mettere a posto che cosa? Perché?
Non ho un passato, ho solo un presente. Lento, molto lento ma continuo; il presente più piacevole perché finalmente mi hanno preso da parte e fatto solo mio questo momento. Che già adoro.
Non devo parlare con nessuno, nessuno si aspetta che io parli. È diventato normale avere un vecchio muto malato da accudire in un letto, normale.
Tutto si ridimensiona a seconda della situazione.
Tutti si prendono cura di me e sono attenti a non offendere la mia sensibilità, muovendosi lentamente e lasciando tutto come è sempre stato.
Capisco, posso capire il loro affanno e la loro preoccupazione, è gentile da parte loro, ma a me viene solo più da ridere. Scoppierei a ridere fragorosamente, mi sbellicherei dalle risate rotolandomi per terra, e potrei anche, nessuno può più dirmi niente, nessuno si vergognerebbe di me.
Così accenno un sorriso, mi guardo intorno e una sensazione di totale placidità mi invade, non so più collocare un momento in uno spazio temporale definito. Ho passato talmente tanto tempo in questa stanza che ormai sono i muri il soffitto e la finestra a scandire il passare dei momenti, delle ore, dei giorni.
Confesso di aver avuto notti insonni anch’io; notti in cui mi sono svegliato, marcio di sudore tastandomi per vedere se c’ero ancora, dopo aver sognato di essere morto…
E’ uno spavento momentaneo, è il vuoto davanti che si contrappone ad un illusorio “pieno” dietro.
E’ paura di non aver fatto abbastanza, detto abbastanza, creduto abbastanza, sbagliato tutto.
Ma è momentaneo. Perché poi si entra in uno stato mentale dove troppo o niente o abbastanza non hanno significato e ci si rende conto che si è dove si è e come si è proprio grazie a tutti questi avverbi che non ci sembrano soddisfacenti….si sorride.
Una botta di amore verso sé stessi arriva poi di colpo, si avrebbe voglia di accarezzarsi dolcemente e riempirsi di bacini sulla fronte e pacche sulle spalle, di abbracciarsi stretti.
…si riaprono gli occhi e si è più tranquilli, più pronti, più felici, contenti delle proprie esperienze, a faccia aperta, a mente ferma.
Mi guardo intorno e riconosco ogni oggetto, ogni dettaglio di questa stanza, ogni voce proveniente dalle stanze vicine, riconosco me stesso guardandomi, sospiro, chiudo gli occhi e mi addormento tranquillo, cullato dal salire e scendere del mio respiro.
di Marge