Un amico per Ted Landon (episode I.1)
Febbraio 18, 2001 in il Traspiratore da Redazione
“Perché?”, mormorai al corpo esamine che stringevo fra le braccia. L’uomo che si faceva chiamare Giudice Mascherato si era messo fra me ed una pallottola, venendo colpito al mio posto. Io avrei dovuto trovarmi al suo posto. Perché questo fa parte del mio mestiere. Perché faccio l’investigatore privato.
“Perché?”, ripetei sommessamente, mentre mi rendevo conto solamente adesso che era stato con una simile domanda che era cominciata tutta questa faccenda. Sì, proprio così.
“Perché?” esclamai tutto ad un tratto, dopo aver accolto con una calorosa stretta di mano, degna del più puro stile dei duri di Chicago, il mio buon amico Mortimer Morton, giunto quel giorno all’aeroporto di Caselle.
Mortimer trasalì, squadrandomi da dietro i suoi spessi occhiali da miope che davano al suo sguardo un’espressione interrogativa ed al tempo stesso stupita. Come spesso accade, però, l’apparenza inganna. Bisogna sempre ricordarsi di andare oltre all’aspetto della persona che abbiamo di fronte.
“Puoi ripetere la domanda, Ted? Temo di non averla capita …”, mi rispose.
Ok, forse Mortimer Morton poteva costituire la famigerata eccezione che conferma una regola, ma un particolare bisogna chiarirlo subito: quello stralunato ometto magrolino e slanciato che, nonostante il suo metro e ottanta cercava di apparire più piccolo di ciò che fosse in realtà, altri non era che un giudice della corte di Chicago.
“Ripeto: perché sei venuto fin qui da Chicago?”, chiesi dopo un profondo sospiro di rassegnazione.
Mortimer si strinse nelle spalle. “Una vacanza. Per rivedere i vecchi amici.”
A quella risposta mi lasciai sfuggire un breve mezzo sorriso alla moda dei duri di Chicago.
“I vecchi amici che hai qui a Torino siamo soltanto Joe Scannacani e me, per non parlare di Jack “Trippa”. Un poliziotto, un detective ed un malavitoso in pensione. Non venirmi a parlare di vacanze! Sembra più una puntata di “Starsky ed Hutch”!”
Detto questo, prendemmo un taxi (naturalmente pagato da lui: se avessi tutti quei soldi, comprerei da mangiare per me ed il mio criceto!) e lo accompagnai al suo albergo, in città. Lì ci salutammo: quel giorno, Joe mi aveva chiesto di passare dal suo ufficio. Doveva parlarmi di qualcosa di vitale importanza. Salutai Mortimer e mi immersi nella fiumana di persone che affolla il centro di Torino di questi tempi. Torinesi concentrati sulle loro commissioni, turisti, scolaresche. Artisti di strada. Mi è sempre piaciuto stare tra la gente. Mi aiuta a ricordare. E quel pomeriggio, la mia memoria straripava di ricordi. Non tutti belli. Sì, proprio così.
Rammentai il giorno in cui il noto truffatore Tom “lo scacchista” era riuscito ad incastrarmi in una losca faccenda di spionaggio industriale. “L’affare Stend”, come lo avevano definito i giornali, dal nome del noto industriale Harold Stend. Le prove erano talmente schiaccianti che non avevano lasciato dubbi in tribunale. Siccome ero incensurato, me la cavai con il ritiro della licenza da investigatore. Ma non ressi un minuto di più in quella città. E in quel paese. E su quel continente. Innocente, ero stato ingiustamente condannato.
Mentre pensavo a tutte queste cose, ero ormai giunto sulla porta dell’ufficio dell’ispettore Scannacani. Lui era lì, seduto alla sua scrivania. Aveva in mano un videogioco che assorbiva tutta la sua attenzione.
“Adesso ti pren… adesso ti pren… adesso ti pren… Non ti ho preso!”, ringhiava a denti stretti, mentre dal giochino si alzava una sonora risata. In quel momento mi vide e con un rapido gesto fece sparire il gioco in un cassetto.
“Volevi parlarmi?”, esordii. Come per rispondermi, un’altra sonora risata si alzò nel gelido silenzio della stanza.
“Si tratta del giudice Morton, Ted. È a Torino.”
“Sì, lo so. Arrivo con lui dall’aeroporto.”
Joe corrugò le sopracciglia.
“Sei andato a prenderlo?”
Annuii. Sebbene Mortimer Morton fosse il giudice che mi aveva ritenuto colpevole, non gli serbavo rancore. In fondo ero l’unico a Chicago a conoscere la sua identità segreta. Di notte, vestiva i panni del Giudice Mascherato e, a bordo della sua Giu-mobile, andava a caccia dei criminali e li spingeva a pubbliche confessioni. Sì, proprio così, questo era il suo unico intento. Quindi se mi aveva condannato, ero sicuro che i fatti e l’evidenza delle prove lo avevano costretto a farlo. E poi, Mortimer era mio amico. Anche quando le cose si mettono male, bisogna continuare a voler bene ad un amico. Anche contro tutte le apparenze. Se no, che razza di amicizia è?
A quest’ultimo pensiero, m’irrigidii. Se l’intento del Giudice Mascherato era soltanto quello di far confessare i criminali, e se Mortimer era arrivato qua a Torino, poteva soltanto significare che …
“C’è un’altra cosa di cui ti volevo parlare, continuò Joe, “Lo scacchista” è in città.”
Dal cassetto della scrivania di Joe si alzò una sonora risata. [1a p.]
di Andrea Savio