Un Campiello bicefalo
Settembre 19, 2005 in Attualità da Stefano Mola
…AND THE WINNERS ARE…
Sul palco del Teatro La Fenice di Venezia, l’evento della serata finale dell’edizione 43 del Premio Campiello è il parto gemellare della giuria popolare. Dopo lo spoglio dei 300 SMS (non dimentichiamo che Telecom è tra i principali partner del Premio), Antonio Scurati (Il sopravvissuto, Bompiani) e Pino Roveredo (Mandami a dire, ancora Bompiani) hanno raccolto 79 voti a testa, per la giusta felicità della casa editrice di entrambi. Come ha osservato giustamente Scurati, salito in sala stampa insieme al suo dioscuro al termine della serata (nella foto a fianco, la concitazione delle api giornalisti attorno al miele vincitori), un buon segnale di maturità dei lettori italiani, che hanno saputo premiare due libri così diversi
Il sopravvissuto è la drammatica storia di un professore, unico scampato allo sterminio della commissione d’esame da parte dello studente bello e dannato di turno (insomma, Elephant: non a caso il film di Gus Van Sant è stato citato da Scurati stesso, e ne condivide direi la struttura claustrofobica di inspiegabilità priva di luce). Il professore cercherà di capire il perché del gesto e della sua sopravvivenza, facendo ricorso a tutti i complessi saperi complessi di cui si è nutrito, che gli sfarinano in mano mentre scava nel suo diario. Libro intrinsecamente intellettuale, esistenzialista.
Mandami a dire invece è una raccolta di racconti che affondano a piene mani nella vita, nell’esperienza spesso drammatica di coloro che talvolta fingiamo non essere intorno a noi: i sordomuti, i malati di mente, i gregari, i padri che perdono i figli in incidenti assurdi, gli operai che lavorano in catena di montaggio. Una scrittura di verità, intagliata nel vissuto, anche se tutt’altro che naif. Per trovare un comune denominatore, potremmo dire che i lettori hanno voluto premiare le sfaccettatura del disagio nella modernità.
…E I PRONOSTICI?
Lo so, mi ero sbilanciato a favore di Raffaele Nigro, pur indicando i due vincitori come potenziali outsider, (più Roveredo che Scurati, a dirla tutta). E Nigro comunque non è andato lontano dal trigemino con i suoi 73 voti. Resto comunque dell’idea che Malvarosa (Rizzoli), fosse il più bel libro in cinquina, quello che potrebbe lasciare il segno anche a distanza di tempo. Decisamente staccati Ennio Cavalli (19 voti per Quattro errori di Dio, Aragno) e Gianni Celati (16 voti per Fata Morgana, Feltrinelli).
Mi ero anche arrischiato a candidare Alessandro Piperno, vincitore del Premio Campiello Opera Prima, a star mediatica della serata. Invece l’autore romano ha scelto un profilo distaccato, quasi dimesso, dichiarandosi aristocraticamente annoiato del gran parlare che si è fatto del suo Con le peggiori intenzioni, Mondadori.
Devo assegnare invece l’oscar all’adrenalinico Scurati, decisamente in trance agonistica. Lo si è capito fin dal video di presentazione del libro proiettato a La Fenice. Sopra le note quasi obbligate di Smells Like a Teen Spirit (Nirvana: e che altro per il disagio giovanile?) uno Scurati in versione Lucarelli-blu-notte ha raccontato la storia del suo libro passeggiando per il cortile del suo ex-liceo veneziano. Dopo il filmato, ha affrontato impavidamente e johnwainamente Bruno Vespa non trascurando di ricordargli quale pesantissima satira avesse fatto nel suo libro mettendo in scena un fac simile di Porta-a-porta, con immancabile rimando alla mitica casetta di Cogne richiamata dal modellino in scala della palestra dove avviene la strage che apre il romanzo. Gli ha poi insegnato che cos’è la maxifunzionalità, prima di accomodarsi in poltrona. In sala stampa ha poi dichiarato che Venezia è città troppo densa, che impedisce di liberare l’immaginazione a chi, come uno scrittore, ne ha assoluto bisogno (ma quanto tempo è che non prende un vaporetto la notte e non guarda quelle facciate buie, quelle rare luci, i canali o gli scorci laterali di una calle o un campiello? Si potrebbe passare ore a lasciarsi incantare dal mistero che è Venezia: è evidente che non riesco a perdonare a Scurati la sconfitta di Nigro).
Mi preme comunque dare atto a Scurati di essere riuscito a rispondere per le rime a Celati, che ha cercato per tutta la giornata di ergersi a Franti malinconico e svagato. Durante la conferenza stampa del mattino ha esordito dicendo di aver scritto Fata Morgana ben vent’anni fa e di averlo pubblicato solo per necessità meramente economiche, e che aveva nel frattempo deciso di smettere di scrivere, dichiarando di averlo sostanzialmente fatto. Inoltre, odia la mondanità dei premi e tutto quanto inneggia ossessivamente al nuovo. Tutte cose che distolgono dalla letteratura, verso la quale l’unico approccio possibile è quello filologico: ovvero, aspettiamo duecento anni e poi si vedrà. Siamo immersi in un mondo che premia unicamente la velocità, e tutto questo grazie al Grande Satana del Capitalismo Americano. Scurati gli ha opportunamente fatto notare che questa posizione puzzava leggermente di superiorità moralistica, visto che comunque nella centrifuga di velocità e mondanità e uffici stampa e premi che distribuiscono 10.000 euro a testa lui in quel momento era bellamente adagiato. In serata Celati, sul palco della Fenice, ha tenuto a ricordare a Vespa che la scrittura può essere una fuga verso paesi lontani dal denaro. Quando Vespa ha fatto accenno a regimi ormai caduti, Celati non li ha affatto rinnegati (ma nei suoi scaffali, Il dottor Zivago e Arcipelago Gulag non ci sono?). Peccato, perché sono stato un celatiano convinto, e alcuni suoi libri li ho amati moltissimo.
Altri oscar: alla genuinità a Roveredo, emozionatissimo, quasi impossibilitato a parlare. Ha fatto venir fuori una sincerità che andava al di là di tante sovrastrutture, duellanti lì nei pressi ariostescamente nell’aria fritta. Infine, oscar alla simpatia per Cavalli, l’unico che abbia avuto il coraggio di dire: sono contentissimo di essere qui. E ha ricordato che nei propri arsenali, al di là di tante atomiche apocalittiche, occorrerebbe talvolta mettere anche un po’ di umorismo e di ironia.
MONDANITIES?
Già detto di Vespa, confermato alla conduzione della serata e meno gigioneggiante dell’anno scorso, lo ricordiamo leggermente nervoso all’apertura tanto da rimproverare immediatamente il pubblico per lo scarso impegno messo nel primo applauso. Al suo fianco, una sempre bellissima Serena Autieri, meno papereggiante dello scorso anno, in un vestito lungo fucsia quasi fosforescente, monospalla (mi scusino i tecnici e le tecniche della moda per l’approssimazione nel descrivere gli abiti). È stata molto brava, delicata e dolente ma con equilibrio, a eseguire una cover de La canzone dell’amore perduto, giusto omaggio a Fabrizio De André, uno dei cantautori la cui opera è più strettamente intrecciata con la letteratura. Ospite musicale, oltre
all’impettito coro del Teatro La Fenice, una Giorgia in forma spettacolare. La cantante romana ha dapprima offerto un medley dei suoi successi e poi ha interpretato magnificamente I heard it through the grapevine di Marvin Gaye, perfettamente sostenuta dal suo gruppo.
Altre citazioni. Umberto Veronesi, presidente della giuria dei letterati, che ha ricordato il legame tra la letteratura e la scienza. Il presidente di confindustria Luca di Montezemolo, che sollecitato da Vespa ha ribadito il suo apprezzamento per il modello imprenditoriale veneto. Infine, per Andrea Riello, neo-presidente di Confindustria Veneto, e quindi padrone di casa, che ha più volte spronato gli scrittori affinché con la loro opera contribuiscano a rendere più vivibile il territorio. Ha ricordato giustamente che la cultura è sviluppo, ed è in questa direzione che si incanalano iniziative quale per l’appunto il premio Campiello stesso, soprattutto nella sua versione…
… CAMPIELLO GIOVANI
Come sempre, il vincitore viene proclamato nel corso della conferenza stampa del mattino, tenutasi anche quest’anno al Telecom Future Centre. Quest’anno abbiamo a che fare con una vincitrice: Flavia Piccinni da Taranto, autrice di Non c’è tutto nei romanzi (leggetene l’intervista che le ha fatto Affari Italiani). In cinque anni che leggo i racconti finalisti al Campiello Giovani, non credo di averne mai trovato uno che abbia convinto come quello di Flavia (ne ha già scritti ben 200, pare). Racconta l’innamoramento di una ragazza per un suo professore che poi si toglie la vita. Lo fa con una scrittura abbastanza secca, in cui si inseriscono immagini scelte con maturità, capaci di tagliare in maniera netta un’emozione e buttarla lì sulla pagina senza quel sapore di troppo rosa o di troppo esplicito o di troppo esibitamente scandalistico che spesso ha la scrittura giovanile. Inoltre, la trama è condotta con sicurezza e i giusti echi e rimandi strutturali. C’è il sospetto fondato che potremmo ancora sentire parlare in un futuro magari non troppo lontano. Altra citazione secondo me merita Giulia Scerrato, autrice di Occhi senza passato. la sua scrittura è attraversata da qualche ingenuità di troppo, ma la storia che racconta tre generazioni (nonna, madre, figlia) è portata avanti con originalità. Non all’altezza delle ragazze i tre maschietti, Daniele Michienzi, Pierluigi Esposito e Francesco Sergi.
E anche per quest’anno, è tutto. Arrivederci al Campiello quarantaquattro.
di Stefano Mola