Uno stile inconfondibile
Settembre 15, 2004 in Arte da Sonia Gallesio
L’attualità di Mitoraj, la sua modernità risiedono forse […] nell’aver rincorso, e riacciuffato, l’idealità classica per tirarla giù dai cieli e incatenarla a una roccia; per averla seccata con dei tagli “orizzontali” […] di angolazione terrestre, per averla bendata e fatto così dialogare la sua luce con l’oscurità interiore, per averla costretta in fasce di prigionia, per averla vessata con feritoie intriganti che scavano dentro al corpo […] i misteri dei surrealismi e la spazialità introflessa della psicoanalisi…
[Maurizio Calvesi, 2004, da Centralità di Mitoraj, testo pubblicato nel catalogo della mostra]
[Le sculture di Mitoraj] sono relitti del tempo che assurgono a testimonianza di una contemporaneità che non può venir soffocata malgrado o forse proprio perché porta con sé le tracce di una debolezza, di un malessere e di uno smarrimento dell’imperfezione della vita…
[Rudy Chiappini, 2004, da Le reliquie di un’integrità perduta, testo pubblicato nel catalogo della mostra]
Statue spezzate così bene che dal rudere nasce un’opera nuova, perfetta nella sua stessa segmentazione: un piede nudo che non si dimentica […], un torso che nessun volto ci impedisce di amare […], un busto dai tratti corrosi, sospeso a mezzo fra il ritratto e il teschio…
[Marguerite Yourcenar, da Il Tempo, grande scultore, Einaudi Tascabili, 1994]
C’è tutta la storia dell’uomo nelle opere di Igor Mitoraj, e nondimeno il suo presente, la sua incerta contemporaneità. E vi sono serbati i trascorsi dell’artista, la sua intimità, insieme alle tracce – mutuando un’espressione di Rudy Chiappini – di una “dimensione storica ancestrale e sotterranea”. Esse custodiscono i sogni dell’autore, che anzitutto è un’anima nobile, ricettiva e sensibile, e il suo dolore, le sue esperienze, ma altresì un’eredità archetipica che appartiene all’umanità intera. Perché sono cristallizzazioni di memorie, condensati di vibrazioni.
Quelle corazze vuote, quelle forme infrante, ed ancora le calotte craniche saccheggiate, restituiscono solo apparentemente un’idea di assenza, abbandono, lontananza temporale e spaziale. Le sculture di Mitoraj, difatti, sono reperti inestimabili di un vissuto che è tuttora corrente e fruibile, resti di un passato necessario quanto innegabile. Le si potrebbe definire anche entità martirizzate, epperò non esprimono dolore stridente: piuttosto una sorta di pacata e saggia speranza, nell’armonia della bellezza e nel futuro, che probabilmente è data dalla fiducia riposta nella continuità dei cicli vitali.
Surreale, evocativa, simbolica e sensuale, la produzione di Mitoraj è impregnata di classicismo e al contempo attualissima, in virtù della sua grande comunicativa, della sua coerenza, della sua singolare capacità di rappresentare la realtà ed indirizzarne le specifiche visioni a differenti livelli di coscienza.
L’artista non cita, ma permette al passato di risorgere e rinnovarsi ogni giorno: rielabora il modello greco-romano, lo trasforma, lo riveste di nuovi significati. Sfruttare, almeno in parte, la seduttività e l’immediatezza dell’estetica classica potrebbe essere un modo per legittimare e rendere universali i desideri e le visioni personali, ma anche – attraverso una sorta di “poetica della carcassa” (Rudy Chiappini) – il modo migliore per esprimere il processo degenerativo e di alienazione della condizione umana.
Le sue sono superfici corrose, intarsiate, che in fondo sono involucri – imponenti ma frangibili –, e non corpi, dai quali non è dato sapere se l’anima emani ancora la sua prima essenza, oppure sia stata sottratta, aspirata via, o ancora sia fuggita da sé (“le sue figure non guardano, in effetti, ma sono fatte in modo che vi si possa scrutare dentro e avere l’impressione che […] [in esse] ci sia un’energia non rappresentabile ma latente”, Claudio Strinati, dal testo pubblicato in catalogo).
Inteso quale scelta interpretativa, il frammento rinvia alla frantumazione della dimensione morale, prima che fisica, di una società che ha smarrito i suoi valori. Tuttavia costituisce anche un appiglio, un’ancora di salvezza, un elemento da cui ripartire e ricostruire.
Sebbene in essi vi siano arti o altre porzioni di corpo mancanti, già lo si è espresso, mai detti lavori danno un’idea di interrotto, di non finito. Del resto, questo è facilmente comprensibile: ciò che deve giungere al pubblico, infatti, non è che le sculture siano incompiute, bensì danneggiate, distrutte dal tempo, o dal progresso. Sono finite, al contrario, perfette nella loro frammentazione, armoniche con le loro lacune, complete proprio perché depredate. La loro interezza deriva dalla deturpazione. Essenziale perché inevitabile. Nell’opera di Mitoraj una manifesta deficienza strutturale è una mancanza che appaga, perché è una risposta. Rappresenta la verità.
Tutte le citazioni presenti nel testo sono tratte dal catalogo della mostra Mitoraj ai Mercati di Traiano, 2004, edito da Art Media.
di Sonia Gallesio