Venerdì lungo (long Friday)
Novembre 19, 2007 in Spettacoli da Roberto Canavesi
TORINO – Di debutto in debutto la programmazione del Festival dei Teatri d’Europa, continua a rappresentare per la Fondazione del Teatro Stabile di Torino un succulento inizio stagione: nel fine settimana è andato in scena alla Cavallerizza Reale, prodotto dallo Hungarian Theatre of Cluj, “Venerdì lungo (long Friday)”, spettacolo in prima nazionale dove si affronta la tematica del razzismo, mai come in questo periodo attuale, e delle sue possibili degenerazioni.
Ispirato all’adattamento teatrale che Andràs Visky ha tratto dal romanzo “Kaddish per il bambino non nato” di Irme Kertész, l’allestimento rumeno si concentra sul rito ebraico del Kaddish dove l’orazione religiosa deve essere recitata da almeno dieci uomini: gli uomini però sono solo nove almeno fino quando nel gruppo non arriva un sopravvissuto dell’Olocausto, testimone diretto dell’inferno terreno con le cui parole inizia un percorso all’indietro nel tempo in cui si affronteranno le tappe basilari della vita (l’infanzia come la scuola, la famiglia al pari dell’amore) mettendo in risalto le terribili ripercussioni di una tragedia epocale: il regista Gábor Tompa costruisce uno spettacolo-rito in undici stazioni dove, in un ideale flashback, è affrontata l’intera parabola esistenziale di un protagonista, con sul fondo sempre presente l’incubo di Auschwitz.
Uno spettacolo lineare con un unico narratore, il bravo Aron Dimény, e nove “coreuti” a trasformare in immagini visive, piuttosto che in sequenze coreografiche condotte su di una traccia musicale di forte matrice religiosa, una parola in grado di dar vita a momenti di profonda poesia, come di grottesca ironia. La recitazione ricalca modelli kantoriani ed è all’insegna di una grande coralità, quasi a voler sintetizzare la “sacralità” di un messaggio destinato a rimanere impresso nella memoria collettiva con i dieci interpreti, applauditissimi dal pubblico, ispirati messaggeri di un lezione religiosa e morale di indispensabile patrimonio per le generazioni future.
di Roberto Canavesi